Fabrizio Prevedello, Fiore (199), 2017 - 2021
Il padrone della bottega
Il padrone della bottega sentiva che era suo dovere pensare al destino della bottega, a cosa ne sarebbe stato dopo di lui.
Non era sposato, non aveva figli, nessun parente importante cui affidarla, dopo un lungo tirocinio guidato da lui. Tutto sarebbe finito in un disordine tumultuoso, violento. E soprattutto ingiusto, come ogni morte improvvisa.
Ma questo non s’addiceva a una bottega, a ciò che una bottega significa per un paese. L’unico luogo in cui avvenivano scambi sostanziali, tutti minuziosamente regolati. Dove lo status delle persone, e delle loro famiglie, veniva ogni volta silenziosamente sottoposto a conferma.
Perché una bottega era, subito dopo la chiesa, ciò che di più permanente esiste in un paese. Il padrone conservava ancora la breve lettera (l’unica!) che il fratello, di poco maggiore di lui, gli aveva inviato nel collegio in cui lui studiava, in una cittadina ai piedi della valle. “Ho verniciato gli scaffali - scriveva il fratello - vedessi come stanno bene il rosso e il marrone”. Così li aveva trovati, al ritorno per le vacanze estive, e così era tutto rimasto sino ad ora.
Il fratello era stato fra i primi a morire nella Grande guerra e poco dopo anche i suoi studi in collegio erano stati interrotti. Certamente, un figlio caduto per la Patria, e un altro studente, potevano apparire come un blasone per la bottega.
Ma adesso, quasi alla fine, che fare? La prima idea era stata quella di chiudere i rapporti con i fornitori, e andare avanti fino a esaurimento della merce negli scaffali e nel retrobottega. Come una persona che riduce un po’ alla volta la propria attività per il venire meno delle forze. Ma facendo così i prodotti a maggior consumo sarebbero finiti presto, e poi vi sarebbe stato lo stillicidio interminabile di quelli poco o pochissimo richiesti. Il tutto in un’atmosfera di incomprensione, di maldicenza, forse di disistima. Anche questa, insomma, una fine disordinata, che si doveva evitare.
La soluzione che gli parve migliore fu quella di rinnovare le scorte solo per alcune merci essenziali, non per tutte. Sì a pasta, riso, petrolio, zucchero e caffè, e qualcos’altro, ma non i formaggi, i salumi, l’olio. E le candele, quanto sono essenziali le candele? Così fece, con qualche incertezza, e non sarebbero mancate parole scambiate con i clienti. Tutte spiegazioni imperfette, le sue, senza mai osare dire in modo palese, come se fosse un inaccettabile peccato d’orgoglio, il proprio intendimento. Che la fine della bottega fosse la più naturale possibile, una fine meritevole di essere ricordata, così finisce un giusto. In assenza di brusii.
Negli ultimi tempi della sua vita il padrone passava la maggior parte della giornata nel retrobottega. L’apertura della bottega al mattino, e la chiusura serale, seppure assai semplici, esaurivano molte delle sue forze. Solo per la notte raggiungeva la sua stanza al piano superiore.
Il retrobottega, un tempo pieno di merci, era ora quasi vuoto, era tornato a essere la cucina della sua infanzia. Sedeva in un angolo, raccolto in un seggiolone, nell’attesa dei due-tre clienti della giornata. Certo, avrebbero potuto trovare le stesse cose, e anche meglio, nelle altre botteghe del paese; ma forse avevano avvertito qualcosa, come lo svolgersi di un lentissimo rito, e sembrava loro importante avervi parte.
In quelle ore rimuginava ricordi, ma non solo. Era come cercasse qualcosa, - cercasse un simbolo, qualcosa che contenesse la sua vita, la riassumesse, come può fare un’epigrafe. La sua vita nella bottega.
Si guardava le mani. Avrebbe potuto dire che il suo era stato un Dare e un Ricevere regolato dal galateo inesorabile del paese, che assicurava a ogni atto del vendere e del comprare, con giusta misura, il massimo di conformità al bisogno del momento, e insieme la sua legalità. Ma questo probabilmente poteva dirsi per molti, - e lui?
Gli venne in mente con un sussulto che forse vi era un piccolo atto, in questi riti, che sembrava stare a sé, come se in esso gli opposti interessi si acquietassero. Un atto di riguardo dunque, affidato non alla legalità, ma ad una piccola ma compiuta perizia. Era il confezionamento del pacchetto, quando, terminata la pesatura della merce, le mani del venditore danno, alla carta su cui essa giace, un orlo sicuro, persino elegante, e spesso gli occhi del compratore seguono il movimento rapido delle tue dita. Un movimento che a lui, negli ultimi tempi, richiamava un lontanissimo ricordo degli anni del collegio, lo sfogliare le pagine di un vocabolario in cerca di una parola. Ogni volta una ricerca diversa.
Questi pensieri, ora, gli davano ristoro, - capiva bene perché la sua bottega, accanto a vecchie ferramenta e a qualche pugno di nastri fettucce fili e aghi, vendesse ancora zucchero e caffè: ogni vendita, infatti, comportava la confezione di un pacchetto, spesso piccolissimo. E quante altre cose restavano da capire, se la vita le avesse permesse. Ma di una ebbe assoluta certezza, e non la dimenticò più, - il posto che, accanto al Fare, al Dovere, può avere la Grazia.
Prima stanza: Fiore (199), 2017 - 2021, gesso, acciaio, 63 x 42,5 x 15 cm
Seconda stanza: Ritratto (315), 2022, gesso, bamboo, acciaio nichelato, pigmento, 116,5 x 71 x 42 cm
La mostra sarà visitabile dalle 10:00 alle 18:00
a seguito di appuntamento - 339.3670285
mun ange | via Umberto I 48, 12030 Crissolo (CN)
www.munange.it
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