venerdì 3 maggio 2019

Claudio Signanini



Claudio Signanini

Signa 2.0


10-25 maggio 2019
Inaugurazione venerdì 10 maggio alle ore 18

Collegio dei geometri

via San Giovanni Bosco 7/H - Cuneo




Carpe nel lago, 2019

Come un paravento, 2019


Dai racconti del cuscino, 2019


Senza titolo, 2018



Signa 2.0 II



Un segno, alla prima senza ripensamenti, 2019



CLAUDIO SIGNANINI, UNA NUOVA EVOLUZIONE DELLO SGUARDO

Dopo la bella mostra personale organizzata nel mese di maggio del 2017 nel Salone della Confraternita di Robilante, tutta incentrata sulle modalità espressive più apertamente fondate sul linguaggio dell’astrazione, ricondotto all’essenza dei valori pittorici, attraverso l’esercizio del segno e del gesto calligrafico intesi come esperienza meditativa profonda, Claudio Signanini giunge ora allo spazio espositivo del Collegio dei Geometri della Provincia di Cuneo con la sua nuova personale intitolata SIGNA 2.0. L’ampia rassegna che l’artista ha approntato costituisce un passo ulteriore della sua ricerca artistica, sempre più intrisa di sensazioni e sentimenti interiorizzati, in cui il mondo reale si dà come riflessione sulla distanza o più precisamente sul trascolorare nel tempo e nello spazio delle materie e della bellezza muliebre, nuovamente riconsiderata, che solo l’arte sa ritrovare e riportare alla soglia di attenzione dei nostri sguardi.
Come ho già avuto modo di esprimermi in precedenza, nella mostra Autoreferenziale del 2017, di cui a Cuneo tornano a essere mostrate alcune delle opere più significative esposte in quell’occasione, Signanini ha esaltato convincentemente «la materia, ora traslucida ora opaca, dei suoi neri pastosi che si increspano in superficie e rifluiscono poi in striature più sciolte e leggere, richiamando alla mente il “nero intenso” dei dipinti di Manet o l’”oltrenero” adottato per le sue tele da Pierre Soulages». Claudio, quindi, si è lasciato attrarre dai «territori smaterializzati dell’aniconico, dove l’osservatore non è invitato a vedere, ma a percepire tracciati eseguiti con indiscutibile capacità esecutiva, tanto da far pensare alla concezione giapponese del geinô, cioè dell’arte come esecuzione o azione concreta, finalizzata all’espressione e alla ricerca del Sentiero che porta alla conoscenza di sé». La pittura qui è fatta con i mezzi ridotti all’essenziale e con sole linee diagrammatiche, pulsanti di tensioni vitali, quasi monogrammi di insondabili alfabeti, talora attraversati da punti luminosi o riflessi rossastri. E in Signanini, oggi, si è accentuata ancora di più la predilezione per i canoni di una bellezza altra, così come si delinea nella concezione giapponese del «wabi-sabi, con cui si indica l’estetica dell’umiltà, dell’asimmetria, dell’imperfezione, della bellezza fatta di disgregazione, di cose erose, ossidate, graffiate, intime, ruvide, terrose, evanescenti, incerte, effimere». Il Kunstwollen di Claudio è tutto riposto nella forza della visione artistica, che salva il visibile sulla soglia del suo annientamento, della sua perdita di presenza fisica e oggettiva. L’artista crea il vuoto attorno a sé e attorno ai corpi dei suoi soggetti muliebri, per favorire la formazione di un concentrato di energia e poter così allontanare il pericolo della sparizione nel nulla di ciò che non avrebbe più esistenza reale.
Il salto di qualità è compiuto decisamente nella direzione di un fare pittorico esibito adesso come volontà di macchiare, tatuare e sovrastare gli inserti figurali di feminae sensualissime ed esotiche, che si affacciano da uno studiato e volutamente grezzo lavorio tecnico, eseguito per mezzo di sovrapposizioni di pennellate informali, calligrafismi e graffiature distribuite su supporti plastici trasparenti variamente sovrapposti, come in una sorta di palinsesti grezzi e deteriorati. Il morbido fluire delle linee curve dei corpi appare pressoché dissolto, per via di aggiunte studiate di collages frammentari, in aspetto di packaging riutilizzato o di lacerti di giornali illustrati in lingua nipponica o ancora di riproduzioni di maschere enigmatiche del teatro nō. Talvolta, il lavoro pittorico di Signanini sembra quasi avvicinarsi al modo di lavorare di Bill Orcutt, una figura di pittore astratto che Philip Roth ha tratteggiato in Pastorale americana: guardando come «aveva lavorato il pennello», ci si poteva accorgere che «c’era sulla tela» solo più «un fascio di lunghi baffi grigi così pallidi sullo sfondo bianco da suggerire l’idea che Orcutt avesse cercato non di dipingere il quadro ma di cancellarlo»1. Una cancellazione che però in Claudio, come si è detto, non si compie, ma anzi si trasforma in un tentativo di salvazione delle immagini dalla loro inesorabile dissoluzione.

Enrico Perotto
1Ph. Roth, Pastorale americana, tr. di V. Mantovani, Milano, RCS, 2018, p. 347.



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