Ritorna a San Francesco, da sabato 6 novembre alle ore 15.30, il grande progetto artistico della Fondazione CRC presso il Complesso Monumentale di San Francesco a Cuneo (via Santa Maria, 10), che quest'anno si intitola “Pittura in persona. La nuova Collezione della Fondazione CRC”, e presenta opere appositamente realizzate per gli spazi della sede espositiva e una selezione di dipinti recenti realizzati da oltre 30 artisti emergenti, tutti acquisiti dalla Fondazione CRC negli ultimi anni attraverso il progetto ColtivArte.
L’evento espositivo è a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marcella Beccaria, rispettivamente Direttore e Capo curatore delle Collezioni del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea. Da martedì 2 novembre alcuni artisti saranno presenti in San Francesco per realizzare ulteriori interventi “site-specific”. L’esposizione, a ingresso gratuito, sarà accompagnata da un catalogo e resterà aperta al pubblico fino a domenica 6 marzo 2022, dal martedì al sabato dalle 15.30 alle 18.30, la domenica dalle 10.30 alle 18.30.
La mostra è realizzata in partnership con Intesa Sanpaolo e con il sostegno di Acda Spa, Agenzia Generali di Cuneo, Giuggia Costruzioni Srl e Merlo Spa. Per maggiori informazioni telefonare allo 0171/452711 o scrivere a info@fondazionecrc.it.
Le opere in mostra sono state scelte tra le acquisizioni effettuate dalla Fondazione CRC negli ultimi anni su proposta di una commissione di esperti presieduta dal Direttore del Castello di Rivoli, Carolyn Christov-Bakargiev, e composta da Guido Curto, Direttore Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, e Chus Martínez, Direttore dell’Art Institute presso la FHNW Academy of Art and Design di Basilea. La selezione in mostra è un ideale percorso rappresentativo delle nuove tendenze globali dell’arte contemporanea internazionale, con una particolare attenzione all’utilizzo della pittura come linguaggio espressivo con l’obiettivo di sottolinearne la vitalità e la forza propositiva anche rispetto alle complesse sfide imposte dal mondo contemporaneo. Corpo fisico, ingombro spaziale, materialità tattile e persino profumo specifico della tecnica pittorica sono gli elementi materici che le curatrici hanno scelto di mettere in evidenza anche per rispondere alla pervasività della mediazione digitale e della smaterializzazione che ha connotato molteplici aspetti della vita quotidiana nei mesi della pandemia.
“Attraverso la nostra collezione, dal 1992 a oggi abbiamo unito forme espressive e artistiche differenti e negli ultimi anni, grazie al progetto ColtivArte, ci siamo concentrati in particolare su artisti emergenti, che stanno percorrendo nuove strade nel mondo dell’arte. “Pittura in persona”, all’interno di un originale percorso studiato per i magnifici spazi del Complesso Monumentale di San Francesco a Cuneo, offre a tutti gli appassionati la possibilità di avvicinarsi a queste opere di giovani talenti e scoprire alcuni interventi artistici site-specific inediti, ideati per l’occasione. Un ulteriore tassello del percorso intrapreso da anni per consolidare il ruolo di Cuneo come centro di produzione artistica di alto livello, in grado di attirare turisti interessati ad un’offerta culturale all’avanguardia e di grande valore” commenta Ezio Raviola, Vice Presidente della Fondazione CRC.
Carolyn Christov-Bakargiev, Direttore del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea afferma “Nella nostra epoca, viceversa, la rivoluzione tecnologica e digitale ha nuovamente causato un cambiamento di senso e di ruolo della pittura. Per gli artisti contemporanei, dipingere e non lavorare a opere digitali è una scelta di intenzionale obsolescenza – un dipinto è un’opera unica, non moltiplicabile come le immagini diffuse sui social media e non può essere vissuto nella sua pienezza attraverso il digitale. Questa scelta non è così lontana dal pensiero di Friedrich Nietzsche che alla fine dell’Ottocento scrisse le Considerazioni inattuali (1873-1876), che verteva sull’attualità dell’inattualità. Dall’altro lato, il pittore entra oggi in un corpo a corpo con il quadro e con l’immagine che crea diventando un performer della fisicità e dell’“essere incorporati”.
Gli artisti che espongono in mostra sono stati scelti per valorizzare la creatività del territorio, locale e italiano, pur in presenza di alcuni autori provenienti da altre nazioni. La mostra propone inoltre nuove commissioni ideate per gli spazi della Chiesa di San Francesco da alcuni giovani artisti i quali sono stati invitati a dipingere su pareti autoportanti temporanee realizzate per l’occasione. Le nuove commissioni sono state realizzate da Guglielmo Castelli (Torino, 1987), Alex Cecchetti (Terni, 1977), Claudia Comte (Grancy, 1983), Francis Offman (Butare, Ruanda, 1987), Giuliana Rosso (Torino, 1992), Elisa Sighicelli (Torino, 1968) e Alice Visentin (Ciriè, Torino, 1993).
Sono esposti in mostra anche lavori di Nora Berman (Los Angeles, 1990), Valerio Berruti ( Alba, 1977), Rossella Biscotti (Molfetta, Bari, 1978), Anna Boghiguian (Il Cairo, 1946), Sol Calero (Caracas, 1982), Ludovica Carbotta (Torino, 1982), Manuele Cerutti (Torino, 1976), Barbara De Vivi (Venezia, 1992), Patrizio Di Massimo (Jesi, 1983), Camille Henrot(Parigi, 1978), Anne Imhof (Gießen, 1978), Andrea Massaioli (Torino, 1960), Elena Mazzi (Reggio Emilia, 1984), Daniele Milvio (Genova, 1988), Ad Minoliti (Buenos Aires, 1980), Seth Price (Gerusalemme, 1973), Mathilde Rosier (Parigi, 1973), Giangiacomo Rossetti (Milano, 1989), Lin May Saeed (Würzburg, 1973), Erik Saglia (Torino, 1989), Ania Soliman(Varsavia, 1970), Victoria Stoian (Chișinău, 1987) Sarah Sze (Boston, 1969), Paolo Turco (Cuneo, 1981) e Xa Zadie (Vancouver, 1983).
Nel corso del periodo di apertura dell’esposizione verrà sviluppato un ricco calendario di eventi collaterali, in particolare visite condotte da guide turistiche ed esperti di arte contemporanea, che creeranno specifici percorsi tematici di visita, contribuendo a rendere più chiare le ispirazioni degli autori anche a chi non ha conoscenza specifica dell’arte contemporanea. Nelle prossime settimane sarà inoltre avviato un programma di visite guidate e attività didattiche.
Ma vediamo nel dettaglio il progetto ColtivArte
Il progetto ColtivArte della Fondazione CRC è nato nel 2017 dalla volontà di scoprire patrimoni “nascosti” e valorizzare il talento di artisti emergenti con l’acquisizione di opere d’arte e la creazione di occasioni di fruizione dell’arte per la comunità attraverso esposizioni ed eventi. Tramite il supporto di una commissione scientifica di alto profilo, presieduta dal Direttore del Castello di Rivoli, Carolyn Christov-Bakargiev, e composta da Guido Curto e Chus Martínez, sono stati individuati artisti contemporanei sui quali investire. In questo modo l’ente ha quindi rilanciato il suo ruolo di promotore delle arti, arricchendo la propria collezione che conta oltre 700 opere e offrendo la possibilità al pubblico di ammirarla già prima della mostra “Pittura in persona. La nuova Collezione della Fondazione CRC”. Alcune di queste opere sono infatti in comodato d’uso ai musei del territorio, mentre quelle esposte in sede sono state al centro delle visite previste durante la manifestazione annuale “Invito a palazzo”. In queste occasioni, il pubblico ha potuto ammirare il palazzo storico in cui sono situati gli uffici di Fondazione CRC, uno dei maggiori esempi dell’architettura nobiliare del Settecento cuneese, così come le oltre 100 opere esposte.
LE OPERE IN MOSTRA
Nora Berman (Los Angeles, 1990)
Nora Berman è nata nel 1990. Vive e lavora a New York. A seguito dell’acquisizione della sua opera da parte di Fondazione CRC, Berman è stata invitata a presentare il suo lavoro nella cornice della mostra collettiva J A N U A R Y (2019) presso lo spazio dépendance di Brussels.
Pittura, performance e spiritualità si incontrano nell’opera di Nora Berman. La sua pratica è “un esercizio di lettura delle foglie di tè della pittura postmoderna”. Non esiste una risposta corretta, e se ci fosse sarebbe senza conseguenze per il futuro.
Le visioni colorate di Berman evocano trasformazioni magiche, figure ultraterrene che nascono dalla sua coscienza artistica. I suoi corpi sono simboli sul piano astrale dotati di una strana agenzia che sfugge alle offerte della coscienza che li ha prodotti, riprodotti attraverso accoppiamenti umani e non umani.
Valerio Berruti (Alba, 1977)
Valerio Berruti è nato ad Alba, Piemonte, nel 1977. Vive e lavora ad Alba. Nel 1995 ha acquistato e restaurato una chiesa del XVII secolo a Verduno, Cuneo, che utilizza come studio. In seguito all’acquisizione del suo lavoro da parte della Fondazione CRC, Berruti ha partecipato alle seguenti mostre: Endless Love (2018), presso l’Istituto italiano di Cultura di Los Angeles; Polis (2018), a cura di Angela Vettese, Palazzo d’Accursio, Bologna. Nell’ottobre 2019, Berruti ha presentato al MAXXI di Roma La giostra di Nina, un progetto cinematografico composto da circa 3000 disegni realizzati a mano e uniti in sequenza fino a diventare fotogrammi di un video, con la musica di Ludovico Einaudi e prodotto da SKY ARTE con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte – Short Film Fund sponsor unico Lavazza.
A proposito dei suoi soggetti l’artista dichiara: “Ho sempre disegnato solo esseri umani. A me interessa l’uomo. Ho capito che il periodo della vita in cui siamo tutti uguali è l’infanzia. Lo spettatore deve riconoscersi nelle mie opere, poi inizia il lavoro concettuale che c’è nel mio lavoro. Se tu ti riconosci nel mio lavoro, inizia un dialogo profondo tra me e te.”
Rossella Biscotti (Molfetta, Bari, 1978)
Anna Boghiguian è nata nel 1946. Vivendo una vita nomade, l’artista si è costantemente spostata tra diverse città in tutto il mondo, dall’Egitto al Canada e dall’India alla Francia. Disegni, installazioni e oggetti su larga scala costituiscono la sua ricerca personale su ciò che forma la cultura. Le opere grafiche di Boghiguian sono antiestetiche e dionisiache giacché privilegiano una immediata ed emotiva comunicazione visiva e verbale rispetto a una esecuzione accademica, legata ad un concetto di bello classico ed apollineo. Dal 2011 in occasione della Biennale a Sharjah e da dOCUMENTA(13) a Kassel nel 2012, i suoi taccuini sono diventati parte di installazioni comprendenti strutture architettoniche e ambientazioni percorribili, quasi si trattasse di giganteschi libri “pop-up”, in cui lo spazio viene sperimentato come un continuo ambito di piegamento e dispiegamento. Nel 2017 ha inaugurato la prima retrospettiva italiana di Boghiguian nella Manica Lunga del Castello di Rivoli, a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marianna Vecellio, a cui nel 2019 è seguita con Anne Barlow la prima retrospettiva negli spazi del Tate St Ives, UK. Per questa mostra, Boghiguian ha creato una nuova opera ispirata alla storia industriale della Cornovaglia; con personaggi, processi e materiali tratti dalle industrie minerarie e della pesca.
Empatica osservatrice della condizione umana, nelle sue opere Boghiguian offre una interpretazione unica della vita contemporanea, tra passato e presente, poesia e politica, sguardo felice e osservazione critica del mondo. Le sue opere combinano una umanità dispersa, sofferente e nomade, vittima della Storia e dei suoi conflitti.
Got the Void (02) (Ottenuto il vuoto – 02), 2014 marmo bianco di Carrara, 80 x 60 x 60 cm
Ludovica Carbotta è nata a Torino nel 1982. Vive e lavora a Torino. La sua produzione comprende scultura, disegno, performance, architettura e scrittura. Per mettere in discussione lo spazio che ci circonda, Ludovica Carbotta adotta il suo corpo come misura, come filtro. L’anno dopo l’aquisizione dei suoi lavori da parte della Fondazione CRC, Carbotta è stata invitata dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a concepire la personale dal titolo Monowe, un progetto evolutivo, in corso dal 2016, che vede l’artista impegnata nella concezione e costruzione di una città ideale. Nel 2019 è stata una delle solo due artiste a rappresentare la ricerca artistica italiana alla 58. Biennale di Venezia, invitata da Ralph Rugoff per due interventi all’Arsenale e a Forte Marghera.
Nel settembre 2019 ha preso parte al Congresso di Alba Per un rinnovamento immaginista del mondo a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Caterina Molteni.
Dichiara l’artista: “Le cave sono una miniera d’oro per alcuni, per altri la massima espressione della devastazione sulla natura provocata dal genere umano. Per altri ancora si tratta della sfida sublime tra l’immaginazione umana e il soprannaturale. Secondo me è un grande scultura all’aria aperta. Camminare fisicamente attraverso questo paesaggio diventa un’opportunità per esplorare il rapporto tra solido e vuoto attraverso la materia il processo di fusione e impronta. Guardando il Monte Serrone, apparentemente intero visto dal centro di Carrara, ma scavato sugli altri lati, ho lavorato a un modello in scala della parte mancante negativa, quella scavata dall’estrazione. Ho così prodotto creando due sculture teoricamente corrispondenti alle pareti rivolte a sud-est e nord-est”.
Alex Cecchetti è un artista, poeta e performer italiano con base a Parigi. È particolarmente interessato alla intelligenza delle piante e ai rapporti tra umani e non umani. Le performance di Cecchetti sono state presentate nei musei di tutta l’Europa, tra cui il Centre Pompidou e il Palais de Tokyo a Parigi, il MAXXI a Roma, Serralves in Porto, la Serpentine Galleries a Londra. Cecchetti ha recentemente presentato la sua performance Walking Backwards in occasione della Triennale di Milano.
L’opera Imbastito d’erbacce è stata realizzata per rendere omaggio alla Collezione Cerruti, che ha aperto le sue porte la scorsa primavera 2019 a Rivoli quale nuovo polo del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea. Cecchetti si è concentrato sul giardino della villa Cerruti, interessandosi a quelle piante spontanee che nonostante ogni ostinazione estetica riappaiono periodicamente nei giardini. Le diverse parti dell’imbastito sono dipinte secondo gli stili diversi degli artisti presenti nella Collezione Cerruti.
L’artista come disegno preparatorio ha proposto un assemblage che rievochi il più̀ possibile l’intero processo creativo che si cela dietro il suo Imbastito d’erbacce (2019). L’installazione include un disegno preparatorio dell’intera installazione Imbastito d’erbacce, due fotografie del work in progress (ancora da selezionare), una tela che si è prestata all’esecuzione dell’intero lavoro. Il tutto è pensato per essere incorniciato insieme.
Manuele Cerutti si è diplomato all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Le sue opere sono state presentate in numerose mostre istituzionali, tra cui il Wilhelm Hack Museum e lo Stadtmuseum Oldenburg in Germania, l’Istituto Italiano di Cultura di Londra e la GAM di Torino. Nel 2004 è stato insignito del premio Illy Present Future. Attualmente vive e lavora a Torino. I dipinti di Cerutti si collocano all’incrocio tra la storia dell’arte e la volontà dell’artista di riscoprire l’essenza dell’oggetto. Pietre, ossa e frammenti di metallo, raccolti negli anni dall’artista, restano assopiti nel suo studio, fino a quando da forme inerti si trasformano in opere d’arte sulle sue tele. I suoi dipinti richiamano alla mente la stratigrafia; dove tra diversi strati è possibile scorgere presenze evanescenti nei suoi dipinti. Spesso tali presenze sono soggetti umani ritratti nell’atto di sorreggere o contemplare l’oggetto, il vero fulcro verso cui punta l’intera composizione. Nel contesto delle sue opere i ruoli sono sovvertiti: l’essere umano non emerge più come protagonista, è piuttosto l’oggetto che rivendica il suo status di pari all’Uomo.
Questa grande tela (la più grande mai realizzata dall’artista), è stata esposta nel marzo 2018 nella mostra Motus naturalis, immaginata da Manuele Cerutti presso Guido Costa come una sorta di riflessione cosmogonica in forma di pittura su alcuni frammenti di Empedocle. “L’opera – dichiara Costa – oltre a includere molti degli elementi tipici della pittura di Cerutti, dal cromatismo crepuscolare, alla pietas per gli oggetti umili, governati dai loro precari equilibri, si inoltra decisamente su territori inediti, nutriti di pensiero, di iconologia e di una personale rivisitazione delle forme classiche. Se l’immagine, come sempre accade nella sua pittura – una figurazione fatta di enigmi, sospesi in una sorta di stupore metafisico –, è anche questa volta densa di mistero, la molteplicità degli elementi che la compongono, le loro relazioni reciproche ed il gioco controllato di finito e non finito, suggeriscono qualcosa di più, introducendoci ad una superiore complessità, tutta da investigare”.
Claudia Comte è nata a Grancy nel 1983. Ha conseguito i suoi studi superiori all’ECAL – Ecole cantonale d’art di Losanna, per poi perfezionare il suo percorso accademico presso l’Haute Ecole Pédagogique. Recenti mostre personali includono How to Grow and Still Stay the Same Shape, personale al Castello di Rivoli (in corso) e I have grown taller from standing with Trees presso il Copenhagen Contemporary, 2019; The Morphing Scallops alla Gladstone Gallery di New York, 2019; Claudia Comte: Electric Burst (Lines and Zigzags) al Contemporary Art Museum St. Louis (Missouri), 2018 e nello stesso anno Zigzags and Diagonals al Museum of Contemporary Art Cleveland (Ohio). Nel 2017, Comte ha presentato 10 Rooms, 40 Walls, 1059 m2 presso il Kunstmuseum Luzern, di Lucerna e La Ligne Claire da Basement Roma. Le sue opere sono state anche incluse in esposizioni collettive, le più recenti sono Hot Saw – Electric Power presso la Kunsthalle di Basilea, 2018; The Primary Fondue Party un evento collaterale alla 57. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, 2016, presso il Salon Suisse: ATARAXIA e ancora The Language of Things organizzata dal Public Art Fund, presso il City Hall Park di New York.
Claudia Comte rivisita la storia delle forme, con riferimenti che vanno dalla scultura della prima metà del Novecento (Hans Arp, Constantin Brancusi, Barbara Hepworth, ecc.) ai movimenti artistici della metà del secolo e oltre (arte concreta, op art, pop art, ecc.), ma anche alla cultura vernacolare e popolare (cinema, cartoni animati, ecc.). Li mette in relazione tra loro durante la creazione di un nuovo sistema visivo. La sua preferenza per il legno come materiale principale, su cui lavora con una motosega, affonda le sue radici negli anni della sua infanzia vissuta in un villaggio vicino a una foresta. Comte sottolinea la vicinanza alla natura e una finitura artigianale nelle sue opere. Che siano organici o geometrici, questi sono spesso inseriti in un potente ambiente grafico, come nel caso dei dipinti murali con motivi op art, o di una serie di dipinti su barelle.
Turn and Slip appartiene a una serie di quadri circolari realizzati utilizzando un pennello la cui larghezza corrispondeva al raggio del supporto, che viene applicato con un unico movimento della mano. Il progressivo scarico della vernice produce striature nere e poi bianche. Come per la sua pratica, l’artista esplora la dimensione casuale di un metodo compositivo che, per principio, richiede un’applicazione scrupolosa. La condizione pittorica dell’astrazione è ridotta a un protocollo, la cui esecuzione è calibrata da uno strumento, da un gesto e da un supporto geometrico, e quindi dai “giri” e “scivolate” del pennello citati nel titolo.
Barbara De Vivi è nata nel 1992 a Venezia, dove vive e lavora.
L’artista trova i suoi riferimenti in dipinti e racconti relativi alla mitologia, a leggende antiche e in fotografie legate al proprio vissuto. Attraverso il disegno si appropria di queste immagini compilando un archivio personale da cui emergono analogie tra temi distanti che De Vivi rende visibili attraverso la pittura. Sulla tela alcuni racconti si sovrappongono, altri si annebbiano di altri ancora resta solo un dettaglio.
Barbara De Vivi svolge i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove nel 2018 consegue il diploma di secondo livello. Durante il suo percorso di studi prende parte al progetto Erasmus+ studiando All’Universidad Complutense di Madrid. Nel 2017 vince uno studio d’artista presso la Fondazione Bevilacqua La Masa e il Premio Combat, sezione pittura; nel 2018 il Premio Euromobil Under 30.
Dice l’artista: “Nella pittura ricerco la possibilità di sviluppare una narrazione libera dall’obbligo dello sviluppo temporale e dalla rigidità del linguaggio verbale. Delineo racconti che, pur rifacendosi a un patrimonio culturale condiviso, si mantengono aperti e ambigui mettendo in comunicazione le mie esperienze personali e i temi iconografici tradizionali. Affidandomi all’intuizione analogica cerco nella storia dell’arte e della letteratura il modo di dare forma al mio presente e alle mie istanze di vita.
Quando inizio un nuovo dipinto abbozzo rapidamente tutta la composizione. La prima stesura è quella che definirà il carattere del lavoro e mi richiede massima concentrazione e coinvolgimento. Entro quindi in una fase maggiormente riflessiva nella quale strutturo le figure in modo più accurato. Seguendo ciò che il lavoro mi suggerisce, capita che modifichi il progetto anche in maniera sostanziale. Non cerco di dissimulare ripensamenti e modifiche che stratificandosi accrescono la ricchezza della narrazione presentandomi soluzioni inattese.
Traggo la maggior parte dei miei riferimenti iconografici dai modelli tradizionali della storia dell’arte e della letteratura. Nei miei lavori i tópoi classici interagiscono con un immaginario contemporaneo legato alla moda, ai social media e alle mie istanze di vita personali. Sulla tela compongo una narrazione creando nuove connessioni tra questi frammenti decontestualizzati.”
Patrizio Di Massimo nasce a Jesi nel 1983. Vive e lavora a Londra.
Attraverso il suo lavoro, nel quale ritrae se stesso, familiari o cari amici, Di Massimo racconta la quotidianità̀, spesso fatta di ambivalenze, sogni e teatralità̀.
Diplomatosi alla Slade School of Art di Londra vanta tra le sue mostre personali: ChertLüdde, Berlino (2018), Rodolphe Janssen, Bruxelles (2017), NICC, Bruxelles (2016), Monteverdi, Toscana (2015), T293, Roma (2014), Kunsthalle Lissabon, Lisbona (2014), Gasworks, Londra (2013), Villa Medici, Roma (2012).
Negli ultimi anni, la pratica figurativa di Di Massimo si è concentrata sul rapporto tra tecnica pittorica e i soggetti. In particolare, l’artista si interroga sull’idea del ritratto come veicolo di espressione e rappresentazione di certi stati d’animo, dialogando con importanti riferimenti della pittura storica e del XX secolo – tra questi, Giorgio de Chirico, Otto Dix e il movimento tedesco della Nuova Oggettività. Talvolta solitari, più spesso affollati, i dipinti di Di Massimo raffigurano personaggi al culmine di una metamorfosi emotiva che li ha trasformati in espressioni estreme di sé, articolando rapporti paradossali tra identità individuali e collettive. Fino ad oggi, Di Massimo ha ritratto dal vivo esclusivamente chi gli è vicino, come i propri familiari e gli amici. Per questo nuovo progetto, l’artista ha per la prima volta coinvolto persone estranee, note o anonime, motivato dal desiderio di offrire attraverso il proprio lavoro una rappresentazione corale della comunità locale.
Camille Henrot è nata nel 1978. Vive e lavora a New York. L’arte di Henrot nasce da un intenso processo di ricerca sulla storia dell’universo, la natura del mito e i limiti della conoscenza umana. Nel 2013, Henrot ha ottenuto il leone d’argento alla 55. Biennale di Venezia. Nell’autunno del 2017, stesso anno dell’acquisizione del suo lavoro da parte della Fondazione CRC, Henrot ha presentato la sua ricerca in una grande mostra personale dal titolo Carte blanche al Palais de Tokyo di Parigi. Mostre personali successive includono Stepping on a Serpent (2019) presso il Tokyo Opera City Art Gallery. Sempre nel 2019, Henrot ha introdotto il pubblico del Castello di Rivoli all’opera Maison absolue (2019) realizzata nel contesto di Da parte degli artisti: dalla casa al museo, dal museo alla casa. Omaggi alle opere della Collezione Cerruti. Capitolo 1. Nel 2020 ha esposto presso la National Gallery of Victoria, Melbourne.
Camille Henrot indaga le relazioni e i diversi sistemi di sapere dal punto di vista della nostra era digitale. Dopo gli studi in animazione all’École des Arts Décoratifs di Parigi, ha lavorato nel campo della televisione. Acclamata dalla critica per il video Grosse Fatigue (Grossa fatica) (2013) che le è valso il Leone d’Argento alla 55a Biennale di Venezia, la pratica di Henrot spazia tra pittura, film, installazione, performance, disegno e scultura e trae ispirazione da svariate fonti: dalla letteratura al cinema, dalla biologia evoluzionistica alla religione fino ai banali eventi della vita quotidiana. Le sue opere esprimono una gioia espressiva che ricorda l’infanzia sia nella linea fluida organica sia nei colori pastello usati. Henrot riconsidera l’oggetto artistico e, analizzando i modi in cui le culture si rappresentano storicamente nella forma delle mitologie o dei beni materiali che producono, indaga i vari sistemi di conoscenza. Henrot traccia le sagome degli animali in modo stilizzato e veloce, appiattite su fondali, con grandi spatolate di diversi colori pastello. Suggerisce così come si proiettino aspettative umane sugli animali e, viceversa, aspetti animali sull’essere umano.
Andrea Massaioli, nasce nel 1960 a Torino. Vive e lavora a Torino. Attraverso i linguaggi della pittura e della scultura, l’artista ne rivisita i “generi” e le “tecniche” in chiave lirica e poetica, a volte in modo visionario, ispirato ad una propria mitologia individuale. Negli ultimi anni, Massaioli è stato inviato a partecipare a diverse collettive nazionali e internazionali tra cui: What can we see from silk road (2017), 7th Beijing International Art Biennal, National art Museum of China; HERE (2017) presso la Cavallerizza Reale di Torino.
Dice l’artista: “Riuscire ad ottenere la panna in ceramica è un’operazione altamente alchemica, bisogna passare attraverso diversi stati della materia, rendere la terra liquida ma non troppo, eliminare le bolle d’aria. Si tratta di una tecnica veramente particolare, volta ad ottenere attraverso varie cotture (terzo fuoco) una superficie a lustri, luminescente e preziosissima. In genere gli elementi naturali sono lo spunto iniziale, ma risultano sempre collegati ad un elemento biografico, una natura che non solo mi circonda, ma di cui sono partecipe, in qualche modo ne sono investito.
Le lumache – in particolare le limacce, non le chiocciole – trovate nel mio giardino, appartengono ai fasti di un sottobosco da riscattare, nella preziosità della forma e nella sostanza filosofica dell’Essere. Come in un curioso ossimoro, lumache e panna sono avvicinate, tra splendore e repulsione, in un imprevedibile slittamento di senso, cromatico e gustativo, solido e liquido, ludico e metafisico”.
Elena Mazzi nasce nel 1984 a Reggio Emilia. La sua poetica riguarda il modo in cui l’essere umano decide di operare in esso, apportando un cambiamento. Seguendo prevalentemente un approccio antropologico, questa analisi indaga e documenta un’identità sia personale che collettiva, relativa a uno specifico territorio e che dà luogo a diverse forme di scambio e trasformazione. Le sue opere sono state esposte in mostre personali e collettive, tra cui: Whitechapel gallery di Londra, GAMeC a Bergamo, MAMbo a Bologna, AlbumArte a Roma, Sonje Art Center a Seoul, Palazzo Fortuny a Venezia, Fondazione Golinelli a Bologna, Centro Pecci a Prato, 16° Quadriennale di Roma, GAM di Torino, 14° Biennale di Istanbul, 17° BJCEM Biennale del Mediterraneo, Fittja Pavilion durante la 14° Biennale d’Architettura di Venezia, COP17 a Durban, Istituto Italiano di Cultura a New York, Bruxelles e Stoccolma, XIV BBCC Expo a Venezia, Fondazione Bevilacqua La Masa. Ha partecipato a diversi programmi di residenza tra cui ZK/U a Berlino, HIAP a Helsinki, Guilmi Art project in Abruzzo, Via Farini a Milano, Fundacion Botin in Spagna, Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, Future Farmers A.I.R. a San Francisco, Spinola Banna per l’arte, Botkyrka AIR a Stoccolma. È vincitrice, tra gli altri, del XVII Premio Ermanno Casoli, Premio STEP Beyond, Premio OnBoard, Premio Thalie Art Foundation, VISIO Young Talent Acquisition prize, premio Eneganart, borsa Illy per Unidee, Fondazione Pistoletto, nctm e l’arte, m-cult media and technology program, menzione speciale per Arte Patrimonio e diritti umani, Antworks award, premio Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, premio Lerici Foundation, Movin’up.
Snow Dragon è il nome di una delle navi spacca-ghiaccio che la Cina ha progettato per navigare nella cosiddetta ‘via polare della seta’, la nuova rotta commerciale che si sta delineando in Artico con lo scioglimento dei ghiacciai, e che vede forti interessi commerciali ed estrattivi soprattutto tra Cina e Islanda.
Questa rotta accorcerà di 15 giorni il tragitto di navigazione rispetto al tradizionale
passaggio attraverso il canale di Suez. Con questo progetto Elena Mazzi intende continuare una riflessione nata a seguito di una residenza in Islanda svoltasi nel 2018, analizzando l’impatto che il cambiamento climatico provoca a livello geopolitico, oltre che geologico.
Ad Minoliti è nata in Argentina nel 1980. Vive e lavora in Messico. Gli immaginari digitali si fondono con la teoria queer nei dipinti e nelle sue installazioni. Nel 2018 ha ricevuto la menzione speciale in occasione del premio illy Present Future di Artissima. Nello stesso anno ha avuto modo di approfondire la sua ricerca attraverso una residenza resso il Kadist Foundation di San Francisco, conclusasi con la mostra personale The Feminist School of Painting nel 2018. Nel 2019, Minoliti è stata invitata da Ralph Rugoff a prendere parte alla 58. Biennale di Venezia. L’artista è stata inviata a realizzare una grande mostra personale presso Kunsthalle Lissabon, Lisbona nel 2020.
Basata sulla teoria queer e ispirata dalla geometria, l’artista argentina Adriana “Ad” Minoliti reinventa le relazioni spaziali e sessuali tra i corpi, sperimentando stili formali interposti a forme audaci. Utilizzando materiali diversi in configurazioni inaspettate, Minoliti oscura le implicazioni di forme riconoscibili. Sebbene la pittura e le installazioni siano vibranti e giocose, il lavoro è una precisa riflessione sulle restrizioni imposte ai corpi queer, offrendo critiche al mondo costruito, ma anche proponendo alternative creative. Minoliti identifica e sfida i limiti artificiali dell’identità e dello spazio, enfatizzando atteggiamenti esplorativi, piuttosto che esclusivi, nei confronti della sessualità e del genere.
Francis Offman (Butare, Rwanda, 1987). Si trasferisce in Italia nel 1999. Vive e lavora a Bologna. Dopo gli studi in Scienze dell’amministrazione presso l’Università degli Studi di Milano si trasferisce a Bologna per iscriversi all’Accademia di Belle Arti dove frequenta il corso di Pittura con Luca Bertolo. Nel 2018-2019 partecipa a diverse mostre collettive tra cui Tragitti divaganti, distrazioni da una meta in occasione di Open Tour 2018. Nello stesso anno partecipa al Workshop Q-Rated a Nuoro organizzato dalla Quadriennale di Roma. Nel 2020 partecipa a YGBI Research Residency organizzata dal Black History Month Florence presso l’Ontario College of Art and Design a Firenze. È tra gli artisti selezionati di Mediterranea 19 – Young Artists Biennale (San Marino, 2021). In ottobre 2020 aprirà una mostra personale al MA*GA (Gallarate).
I lavori di Francis Offman sono tele (non intelaiate) dai contorni irregolari, dipinti che nascono attraverso l’associazione di parti (o porzioni) di colori vividi, piatti e uniformi, e zone realizzate a collage con l’inserimento di brandelli di carta – carta sottile e più spessa, recuperata da incarti per il pane o dalle scatole di scarpe – che entrano nella composizione come lacerti o ferite; un incontro che solo occasionalmente può far emergere elementi riconducibili al reale: un albero secco, una montagna, una porzione d’acqua, di terra o di cielo. Le libere composizioni dell’artista sottendono fragili richiami, minimi e dimessi, a un mondo lontano (l’Africa e il Ruanda, dove l’artista ha trascorso parte dell’infanzia) e alle sue consuetudini, a una memoria traumatica e a un’identità incerta, spazi frastagliati e movimentati che non possono dar vita a un paesaggio organico.
Seth Price utilizza ogni tipo di medium, dalla scultura al film, dal web design alla musica, per scandagliare l’infinita flessibilità del mondo digitale, la sua immaterialità totalizzante, e introdurre processi di frizione e sospensione tra produzione e dispersione, immagine e sostanza. Nel gennaio 2019, il Guggenheim ha presentato il video Redistribution. Nel 2017-2018, Seth Price ha presentato la mostra Social Synthetic, presso lo Stedelijk Museum di Amsterdam, Paesi Bassi che poi ha viaggiato al Brandhorst Museum, Monaco di Baviera, Germania. La sua mostra Danny, Mila, Hannah, Ariana, Bob, Brad è stata in mostra al MoMA Ps1 nell’estate del 2018. La sua più recente mostra Hell Has Everything è stata vista alla Petzel Gallery nel novembre 2018 – gennaio 2019.
In occasione dell’apertura di Villa Cerruti, l’artista presenta al Castello di Rivoli Untitled (Senza titolo), 2018, un’opera composta di sette foto-collage mai esposta finora. Catturati con un obiettivo controllato da un software, scatti ad altissima risoluzione di porzioni di pelle umana compongono le stampe fotografiche su cui l’artista ha sovrapposto, strappandoli e spostandoli, stralci di pellicola acrilica colorata.
Mathilde Rosier è nata nel 1973. Vive e lavora a Parigi. La sua produzione artistica spazia dalla pittura alla performance, dalla musica al video, evocando un viaggio tra regni che si avvicinano all’inconscio. Sue mostre e performance recenti sono state presentate presso la Fondazione Guido Ludovico Luzzatto di Milano nel 2018 e in occasione dell’Armory Show di New York, 2017. Nella primavera del 2018, il lavoro di Rosier è stato parte della mostra Metamorfosi – Lasciate che tutto vi accada presso il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea a cura di Chus Martinez. Dopo l’acquisizione da parte della Fondazione CRC, il lavoro di Rosier è stato incluso anche nella collezione della Kadist Art Foundation di Parigi; Julia Stoschek Collection di Düsseldorf; USB Art Collection di Zurigo.
Le figure di Mathilde Rosier celebrano il rovesciamento di tutti gli ordini che conosciamo con una grazia che appare quasi demoniaca, soprannaturale. Si ergono, capovolte, con una naturalezza che rimpiazza l’artificiosità delle nostre precedenti vite “a terra”. Invocano, da sopra di noi, l’importanza dell’alto. Vediamo il mondo dal punto di vista di questi protagonisti a testa in giù e sentiamo la loro condizione gioiosamente assurda.
Questo semplice rovesciamento rappresenta la lunga ricerca di Rosier sulla possibilità di introdurre semplici rituali nel cuore del suo lavoro. È interessata a esplorare una forza, una pulsazione, una vibrazione, un movimento, un ritmo, la produzione di una durata che si dipana dentro tutti i dipinti, performance o film che sono capaci di sfidare la melodia della storia.
Giacomo Rossetti (Milano, 1989)
Giangiacomo Rossetti è nato nel 1989. Vive e lavora a New York. Il suo lavoro muove dalla pittura e il suo soggetto è la tensione tra il tempo presente e passato. A seguito dell’acquisizione delle sue opere da parte della Fondazione CRC, Rossetti ha presentato la sua mostra personale Bones of the Men (2019), presso il Mendes Wood di Bruxelles; Techniques of the Observer (2019), presso il Green Naftali di New York.
Maestri del Rinascimento, Arnold Böcklin e i Preraffaelliti, sono alcuni degli spunti all’origine delle opere di Rossetti. Ridipingendo talvolta questi soggetti studiati a fondo, l’artista ne rivendica la proprietà e riconfigura queste acclamate composizioni abitandole con la propria presenza.
Il suo gesto di infiltrazione rianima le immagini della storia e le svuota del loro significato originale. Di volta in volta, l’artista seziona e ricontestualizza l’idolatria della pittura.
Giuliana Rosso nasce a Torino nel 1992 dove attualmente vive e lavora. Nei suoi dipinti, a volte molto grandi altre piccoli e minuziosi, esplora la rappresentazione di scene oniriche e di mondi immaginifici, che spesso si mischiano con la cultura popolare. Il sogno e la fantasia, tradotti in pitture dai colori cupi di matrice nordica portano lo spettatore a perdersi in un’atmosfera contemplativa verso la fuga dal reale.
La pratica di Giuliana Rosso è una continua ricerca sugli angoli nascosti della coscienza umana. La sua indagine pittorica non è esplicita e le narrazioni da lei evocate sono misteriose e allusive. Con interessi che spaziano dai racconti locali, dal simbolismo e dal fumetto, Rosso decifra i suoi sogni e le sue visioni e li traspone su tela, rappresentando realtà ultraterrene abitate da spiriti e presenze inspiegabili. Le opere di Rosso con materiali come la tela e la carta, spesso con contaminazioni tridimensionali, in una continua ricerca del rapporto tra se stessa, il suo lavoro e lo spazio (digitale, in questo caso).
Lin May Saeed (Wurzburg, 1973)
Lin May Saeed è nata nel 1973 a Wurzburg, Germania. Vive e lavora a Berlino. Muovendo dalla presunta supremazia che l’essere umano impone al regno animale, il lavoro di Saeed sembra il perfetto monito tridimensionale e pittorico della nostra tragica storia, fatta di estrattivismo e consumo. Dopo aver partecipato alla mostra Metamorfosi – Lasciate che tutto vi accada al Castello di Rivoli nel 2018, nel 2019, May Saeed ha presentato il suo lavoro presso What Pipeline a Detroit, ed esso è stato incluso anche nella mostra collettiva City Prince/sses a cura di Chris Sharp presso la galleria LULU di Città del Messico.
Lin May Saeed sviluppa uno studio dei miti delle civiltà antiche e del loro influsso sul pensiero dei giorni nostri. L’artista ha ricreato figure che evocano l’immagine della Mesopotamia. In Nus usa il polistirolo espanso, le cui qualità strutturali – facile da scolpire e molto leggero –sono in forte contrasto con l’immagine tradizionale del bassorilievo, in cui gli elementi sono scolpiti su un fondo “solido”. Attraverso forme, materiali e colori che rappresentano il passato, l’artista guarda alla storia, ma anche al modo in cui la memoria di essa influenza il nostro giudizio presente.
Erik Saglia (Torino, 1989)
Erik Saglia è nato nel 1989. Vive e lavora a Torino. Saglia muove dalle implicazioni della “griglia modernista”. L’uso di materiali, vernice spray, nastro e resina sintetica, rinnova il concetto di superficie, eliminando ogni aspetto biografico e pop ricollegando il lavoro di Saglia alla ricerca spaziale di Lucio Fontana e la lezione di Alighiero Boetti. In seguito all’acquisizione dei suoi lavori da parte della Fondazione CRC, Erik Saglia ha preso parte alle mostre internazionali: SABAUDADE (2019), Las Palmas, Lisbona; Pregenesi (2018), Palazzo Lancia, Torino; Allenamento #1, Basis, Francoforte.
La ricerca di Erik Saglia si fonde inoltre con il rituale della pratica permettendo la formazione di un codice visivo che fornisce un’immediata riconoscibilità al suo lavoro. La pittura astratta che ne deriva non può essere infatti decodificata attraverso il racconto di episodi legati alla biografia dell’artista o per mezzo di riferimenti alla odierna digitalizzazione della fruizione visiva. La chiave di lettura sembra trovarsi nella fitta sovrapposizione di processi che compongono la rigorosa produzione delle sue opere. L’agonismo, quasi ‘terapeutico’, esercitato da Saglia genera una speciale autonomia stilistica costruita attraverso la ricerca di un equilibrio fra colori, linee e ritmo. Tale pratica e il rituale che le da forma generano un particolare automatismo nella tecnica di realizzazione che permettono all’artista di dimenticarsi per dare spazio all’opera e, nello specifico di questo ultimo intervento, sottolineano la natura dello spazio espositivo nella sua funzione di contenitore.
Elisa Sighicelli (Torino, 1968)
Elisa Sighicelli è nata a Torino nel 1968. Vive e lavora a Torino. Dall’autunno 2017 all’estate 2018, Sighicelli mette in dialogo l’arte antica con quella contemporanea in Doppio Segno, un progetto espositivo presentato nelle sale di Palazzo Madama di Torino. Naturale prosecuzione di questo progetto è nel 2019 la personale Storie di Pietròfori e Rasomanti ospitata Villa Pignatelli-Casa della fotografia. Ad ottobre 2019, Castello di Rivoli ha presentato al pubblico la sua più recente commissione Lumenombra Lumenicta, in occasione del progetto Da parte degli artisti: dalla casa al museo, dal museo alla casa Omaggi alle opere della Collezione Cerruti. Capitolo 3 a cura di Marcella Beccaria.
L’artista utilizza la fotografia per fare un lavoro sulla fotografia. Elisa Sighicelli quando lavora con la fotografia non riproduce la realtà, ma la osserva per includerla nella propria opera, affrontando distorsioni ottiche indotte, da sedimentare.
Dice l’artista: “Per me è importante che questa visione abbia una materia che le corrisponda. Quale materiale utilizzeresti come supporto per rendere l’instabilità e la fluidità del riflesso di uno specchio? Il raso funziona bene, è molto luminoso e quando ci passi vicino ti risponde muovendosi, attivando la vita dell’immagine e mettendo in dubbio la tua messa a fuoco e percezione.”
Anjia Soliman (Varsavia, 1970)
Ania Soliman è nata nel 1970. Artista egiziana / polacca / americana cresciuta a Baghdad, che attualmente vive a Parigi. Realizza disegni su larga scala basati su immagini digitalizzate e materiale d’archivio, mentre lavora anche con testo, performance, video e installazione. La sua pratica basata sulla ricerca si concentra sulle relazioni, sia reali che immaginarie, tra natura e tecnologia. Attraverso processi di tracciamento, desaturazione, sbavature, colorazione e abbellimento, trasforma i materiali originali in disegni stratificati che spesso ripetono un motivo in quanto rappresentano il processo di idee contrastanti che si elaborano. Le sue opere funzionano come icone per le negoziazioni inconsce tra i nostri corpi e le lingue culturalmente determinate che occupano le nostre menti. Il lavoro di Soliman è stato esposto al Castello di Rivoli, Torino (2018), al Museum der Moderne di Salisburgo (2016), al Museum of Contemporary Art di Antwerp (2015), alla Whitney Biennial (2010), alla 14th Istanbul Biennial (2015), il Museum der Kulturen di Basilea (2014) e il Drawing Center di New York (2000), tra le altre sedi, e ha recentemente tenuto conferenze- performance al Global Art Forum di Dubai e Singapore. Nel 2010 le è stata conferita la residenza Laurenz-Haus a Basilea, in Svizzera.
“Questo lavoro riguarda il punteggio, le prestazioni e l’intelligenza artificiale. Sono interessata a sviluppare idee del corpo come macchina, della mente che corre su copioni e usare il mezzo della coreografia (che organizza) i nostri movimenti, per pensare al potenziale liberatorio di muoversi in modi insoliti” dice l’artista.
Nel suo lavoro Explaining dance to a machine, Soliman guarda alla danza come al corpo umano nello spazio e nel tempo, sia storicamente che futuristicamente come fantascienza. Il progetto consiste in una serie di disegni su larga scala di spartiti di danza basati su un sistema di notazione inventato dal coreografo e artista di danza ungherese Rudolph von Laban. Il progetto è il risultato di ampie ricerche precedenti e mostre incentrate sui concetti di corpo e mente. Il suo interesse per questo argomento è emerso da una mostra che ha fatto con una collezione di antropologia a Basilea. Da allora, l’artista ha continuato a confrontarsi con concetti di valore, osservando come gli oggetti – compreso il corpo come oggetto – vengono prodotti in diversi sistemi di scambio. Ispirata dal robot come espressione di oggettivazione, Soliman intende lavorare in collaborazione con un laboratorio di robotica per programmare la danza di un cane robot.
Victoria Stoian (Chișinău, 1987)
Codri Earthquake 17’’, 2016 acrilico su tela, 90 x 170 cm
Nistru confines 76 km, 2017 acrilico su tela, 100 x 100 cm
Victoria Stoian è nata a Chișinău in Moldavia nel 1987. Dal 2009 vive e lavora a Torino. Nel marzo 2015 consegue la laurea specialistica in Storia dell’arte contemporanea all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino con la tesi La collezione Vogel.
Mostre personali includono quelle presso Galleria Alberto Peola nel 2015 e nel 2018, e presso Studio la Città, Verona, nel 2015.
Nistru-Confines è una serie in progress di lavori di Victoria Stoian. Una volta ultimata, la serie comprenderà̀ circa 400 opere pittoriche e scultoree che ripercorreranno chilometro per chilometro il lungo confine, segnato dal fiume Nistru, che separa la Moldavia dalla regione secessionista della Transnistria, autoproclamatasi indipendente nel ‘90.
Stoian racconta una storia di confine, di guerra e di abbandono. La condizione di instabilità politica e territoriale che ne è derivata e il conseguente crollo economico hanno determinato in Moldavia un graduale e costante spopolamento.
Nella serie Codri Earthquake (2013/2017) l’artista dà vita a quella che potrebbe essere definita una mappa sismica in cui descrive secondo per secondo la sensazione di caos e di instabilità provocati dal terremoto che colpì la Moldavia nel 2011 e che danneggiò gravemente le foreste di Codri. Come dice l’artista, “in un terremoto il primo secondo può essere della stessa violenza dell’ultimo. Anzi, forse il primo impatto è ancora più forte e destabilizzante”. Per questo motivo, la serie si sviluppa con un andamento cronologico, ma le singole opere non riportano la violenza del terremoto in successione crescente: ogni quadro rappresenta un possibile grado di percezione della catastrofe, che non necessariamente corrisponde al suo reale grado di intensità.
Sarah Sze (Boston, 1969)
Sarah Sze è nata a Boston nel 1969, vive e lavora a New York. Le sue strutture tentacolari si intrecciano a proiezioni di immagini, a volte personali altre volte generiche. Il suo lavoro è incluso in alcune delle più importante collezioni pubbliche e private al mondo, tra cui il Guggenheim Museum di New York; il Museum of Modern Art di New York; The New Museum; Whitney Museum of American Art; il Museum of Contemporary Art di Chicago; il 21st Century Museum of Art in Kanazawa; il Walker Art Center a Minneapolis; il Boston Museum of Fine Arts; l’High Museum of Art ad Atlanta; la Tate Collection di Londra e il Los Angeles Museum of Contemporary Art. Nel 2019 il Tate Modern di Londra ha presentato il suo lavoro Seamless (1999) e nel 2020 partecipa a Surrounds: 11 Installations presso il Museum of Modern Art di New York.
Nei suoi lavori estremamente complessi, dove spesso i cambiamenti di scala sfidano ogni logica, l’artista indaga il rapporto della scultura con il tempo e lo spazio e della parte con il tutto. Intricati sistemi di elementi uniscono costellazioni di immagini attraverso molteplici dimensioni – come diorami atomici o l’apocalisse del regno digitale. Centrale nella poetica di Sze è l’accento posto su quanto è periferico, come le numerose immagini e gli oggetti spesso trascurati che esistono ai margini di schermi, finestre, scrivanie e corpi. Operando su un’inesauribile scorta di materiale tratto dalla vita quotidiana, Sze analizza l’aspetto e la natura di tutto ciò con cui viene a contatto e lavora per proteggerli, alterarli o amplificarli. Allo stesso modo le sue immagini, selezionate tra innumerevoli fonti primarie e secondarie, mutano nel passaggio dallo schermo adattandosi a ogni altra forma di supporto fisico, o semplicemente manifestandosi come luce. Recentemente Sze ha adattato la sensibilità del suo linguaggio scultoreo alle caratteristiche del supporto piano in una serie di dipinti su legno. Con delicati ma corposi strati di pittura, inchiostro, carta, stampe e oggetti, le tre dimensioni della scultura aderiscono alla bidimensionalità del collage. Superfici statiche, macchie di pittura e vortici cosmici emergono dal materiale d’archivio e dal lavoro quotidiano dell’artista nel suo studio in infinite mutazioni visive che collidono e si sovrappongono in un’abbondanza di dettagli.
Paolo Turco (Cuneo, 1981)
Paolo Turco è nato a Cuneo nel 1981. Vive e lavora a Mondovì. Ha studiato all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, presso la Scuola di Pittura del Professor Gaetano Grillo.
37 Km di eredità, è uno spaccato paesaggistico focalizzato sul bacino del torrente Corsaglia nel punto di affluenza con il fiume Tanaro. L’artista raccoglie e cataloga terre, pietre, ceneri, residui vegetali, rifiuti abbandonati. Successivamente li polverizza e li ordina in base alle loro sfumature, i sedimenti vengono racchiusi poi in piccoli contenitori di vetro e trasformati in unità minime di colore. Con questi “pixel analogici” di materia, l’immagine del luogo preso in esame viene poi ricomposta in una trama regolare. Nelle opere di Turco il primo passaggio è la scoperta di un luogo. Da qui parte la raccolta delle tracce in cui è depositata la consistenza fisica del sito: terre, pietre, ceneri, residui vegetali. Macinati e ordinati in base alle loro sfumature, i sedimenti sono poi rinchiusi in contenitori di vetro, e trasformati in unità minime di colore. Con questi “pixel” di colore l’immagine fissata in partenza viene ricomposta in una trama regolare. I mezzi utilizzati per rappresentare il paesaggio sono dunque tratti dal paesaggio rappresentato; il luogo fornisce non solo lo spunto concettuale dell’opera, ma anche il mezzo tecnico. La natura è al tempo stesso presentata e rappresentata e si annulla la distanza che tradizionalmente separa l’oggetto dalla sua rappresentazione. Siamo posti di fronte alla tautologica compresenza di elementi fisici e astratti, e i luoghi evocati da questi mosaici di vetro e polvere appaiono insieme vicinissimi e sfuggenti.
Alice Visentin è nata nel 1993. Vive e lavora a Torino. Il quadro per lei è una cesura dal quotidiano. Tra le mostre collettive: If It Is Untouchable It Is Not Beautiful, Monitor Gallery, Roma, 2019; Hypnagogia, Nevven Gallery, Götebrog, 2019; Day in, Day out, Tile Project Space, Milano, 2018; Ibrida, Castello di Perno, Monforte D’Alba, 2018; Sauvage, Dom, Palermo, 2018; Showroom, Francoforte, 2018. Nel settembre 2019 ha preso parte al Congresso di Alba Per un rinnovamento immaginista del mondo, a cura di Carolyn Christov Bakargiev e Caterina Molteni. A seguito dell’acquisizione delle sue opere da parte della Fondazione CRC nel 2017, i suoi lavori sono stati acquisiti anche dal Museo Ettore Fico nel 2019. Nel 2019, Visentin è tra i vincitori del Premio AccadeMibac promosso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (DG AAP Mibac).
L’artista dichiara: “Dipingo a olio da quando ho iniziato a dipingere. Tra i campi che dividono paesini canavesani, vicino a una ferrovia, ho trovato un rivenditore di ottime marche di colori. Non vado che lì. I miei formati invece nascono dalla necessità: il formato più piccolo era il formato più grande che potessi far uscire dalla mia cantina e il formato più grande è il più grande che posso far uscire dalla porta del mio studio attuale. Ho iniziato a dipingere uomini quando mi sono resa conto di sentirmi disperatamente sola nella cantina buia dove ho iniziato a dipingere. Ma non conosco la linea che divide la figurazione dall’astrazione. La pittura mi prende tutto il mio tempo, voglio che all’interno si percepiscano inguaribili malinconie, saggezze e memorie lontane. Di solito parlo con gli oggetti e con il vento e tutto quello che faccio è il succo di numerose conseguenze. Voglio andare in giro per il mondo con gli occhi limpidi e attenti e con orecchie sensibili e disponibili. Quando poi il quadro nasce ha una storia e io gli do un nome. Troverà la sua strada, lui sa dove andare”.
Xa Zadie (Vancouver)
Xa Zadie è nata a Vancouver. Vive e lavora a Londra. Mostre e performance recenti includono: Child of Magohalmi and the Echos of Creation presso Yarat Contemporary Art Space; Still I Rise: Feminism, Gender, Resistante Act 3, presso Arnolfini di Bristol; Radical Self Love; Grandmother Mago (2019) in occasione della 58. Biennale di Venezia a cura di Ralph Rugoff.
Attraverso performance, video, pittura e tessuti, l’artista Zadie Xa esplora la sovrapposizione e la fusione di culture che informano le identità e le nozioni di sé. I lavori più recenti si snodano attorno a rappresentazioni e percezioni dell’Alterità mediati dalla cultura popolare, con particolare attenzione all’hip-hop. Le sue opere sono siti per esplorare la costruzione dell’identità contemporanea e la performance attraverso il campionamento culturale, informato dalla sua esperienza all’interno della diaspora asiatica. Immagini tratte dalla natura, tra cui acqua ed ecologie marine sono metafore per esplorare l’ignoto, alludendo anche a nozioni astratte di patria.