giovedì 24 febbraio 2022

Doppio ritratto a Palazzo Santa Croce

Cristian Ciamporcero
Elena Franco

Doppio "ritratto"
L'arte come cura

5 marzo - 29 maggio 2022
inaugurazione sabato 5 marzo alle ore 17.30

Palazzo Santa Croce

via Santa Croce 6 - Cuneo








[dal comunicato stampa]

Immagini pluridimensionali che curano

Elena Franco e Cristian Ciamporcero concepiscono insieme la mostra Doppio “ritratto”, l’arte come cura, con un intento che condensa nel termine cura tutte le accezioni che gli sono proprie (sollecitudine, amorevolezza, terapia, rimedio, gestione, governo, vigilanza e molte altre ancora) e le operazioni e manipolazioni con cui queste azioni ed emozioni si realizzano. I due artisti, con le loro opere, offrono i loro pensieri e visioni (reali e immaginari) come pungolo a cercare NOI ORA in noi stessi, negli altri e in possibili prospettive future, quello stare bene esteso all’intera comunità umana e a tutto il pianeta (che ci ospita) considerato nella sua interezza costitutiva. Una prospettiva di affrancamento dal dolore, e da certa “malvagità”, che gli esseri umani operano e subiscono, forse utopica, ma che è bene non perdere mai di “vista”. La loro proposta artistica, ben si compenetra nelle tematiche della manifestazione culturale intitolata “Help” (di cui è parte integrante) organizzata per l’anno in corso dalla associazione grandArte, curata da Giacomo Doglio e Massimiliano Carollo. La cura è chiaramente palese nelle fotografie di Elena Franco. Nelle sue immagini, ritrae parti interne ed esterne di ospedali storici, antichi per la loro potenza evocativa, ben espressa nelle opere dell’artista. Sono immagini che assumono in sé elementi squisitamente umanistici, evidenti sia nella pregevole architettura degli edifici che nelle vedute degli esterni con i loro giardini e orti polifunzionali. “Salto” a piè pari sul Doppio “ritratto”. Il doppio ritratto può essere considerato come una banale ripetizione di un ritratto. Così non è, e diventa chiaro soprattutto osservando le opere di Cristian Ciamporcero: nella sua ricerca di identità, fotografa separatamente i corpi di più persone e separatamente li riplasma amalgamandoli all’immagine di se stesso sovrapposta alle loro. Come ho già scritto in un altro contesto, l’opera di Ciamporcero è una manipolazione “visivo-genetica”; l’artista, con il suo lavoro fotografico, cerca l’identità e l’umanità che gli sono proprie in relazione a quelle degli “altri” (la “malattia” nelle sue opere è presente soprattutto nei suoi soggetti psichiatrici), rivela le contraddizioni del presente nella sua inevitabile trasformazione spazio-temporale. Cerca di fermare, di afferrare una realtà in costante divenire. Ecco una delle saldature tra i lavori  della Franco e di Ciamporcero fondanti l’insieme del progetto espositivo: un tentativo di “fermare” nel presente corpi, sostanze, entità e luoghi del passato per ricostruire, o costruire, ambienti reali e spazi della mente, che siano formati da una più ampia consapevolezza di noi stessi e della nostra storia individuale e sociale. Elena Franco con le sue immagini di ospedali, alcuni  dismessi, sottolinea l’idea di accoglienza, e di cura, che appartiene simbolicamente a questi edifici. Ne rivela la bellezza, anche attraverso le crepe sui muri, senza “nostalgia e retorica” come lei stessa sostiene, cosciente della sofferenza vissuta a causa delle malattie in quei luoghi, e io penso, anche a causa dei molti abusi di potere lì perpetrati. Fotografa con una doppia visione dunque, funzionale al doppio “ritratto”, che troviamo anche nel suo evidenziare come gli esterni fossero spesso adibiti a giardini e orti, utili ai “ricoverati” ma anche alle persone che intorno all’ospedale abitavano e con questo interagivano: vite malate accanto alla “normalità” delle vite sane. Nelle sue opere l’immagine di persone è estremamente parca, ma se ne intuisce l’immanenza che si interfaccia con la “corposità” esuberante presente in molte opere di Ciamporcero: è solo una questione di scelte spazio-temporali diverse. Così, strutture affini a quelle antiche dei muri ospedalieri e dei giardini che li circondavano, in parte ancora li circondano, fotografati dalla Franco, appaiono, anche se in modo minimale, nelle opere di Ciamporcero, nei suoi sfondi fotografici, dove è ugualmente immanente la presenza di un concreto ampio e unificante: nel suo lavoro, spesso bastano nebbiose ombre per creare luoghi parimenti emozionanti. Indipendentemente dalla realtà, dal sogno, dal fantastico e dal tempo in cui sono stati vissuti o immaginati i luoghi e le persone ritratti nelle opere dei due artisti, il potere evocativo delle immagini è, per il nostro futuro, creativamente essenziale! Le virgolette che cingono la parola “ritratto”, altro non sono che una accentuazione codificatrice del termine, che delimita, lettura dopo lettura, l’interpretazione dello stesso. Una persona, una pianta o un fiore, l’espressività di un ambiente, una statua, un singolo muro, la grandiosità di una architettura o di un’automobile, diventano, sommando le molteplici immagini, il “ritratto” intuibile dell’universo infinito, ovvero il “ritratto” della nostra possibile infinita interiorità. Un’altra saldatura tra le opere dei due artisti. In effetti le immagini fotografiche contengono l’oggetto fotografato in una bidimensionalità potenzialmente variabile all’infinito, che può riappropriarsi della sua tridimensionalità, del suo movimento e della sua essenza, nella ri-elaborazione mentale del fruitore delle opere. I due artisti cercano una “cura” usando immagini elastiche, che doni, o rigeneri, la coscienza della nostra appartenenza a una società globale in un unico Mondo globale. L’amalgamarsi negli altri di Cristian Ciamporcero e la “documentazione” di Elena Franco, che sottolinea anche come molti di questi ospedali siano stati attualmente recuperati in funzione culturale, ci offrono in sintesi, lui con una indagine psicologico scientifica, marcatamente introspettiva, lei con un lavoro più “aperto” di ricerca sul rapporto  fra scienza e umanesimo, il contemporaneo medical humanities, una saldatura, un “atto” artistico di speranza nella cura dell’Arte che cura.

Gianni Maria Tessari                                                                                         



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