Vertigini di pietra
dicembre 2022 - 29 gennaio 2023
inaugurazione sabato 10 dicembre 2022 alle ore 17.30
venerdì, sabato e domenica dalle ore 16.00 alle ore 19.00 con ingresso libero.
Grand Palais Excelsior
via Roma 9 - Limone Piemonte (Cuneo)
Per informazioni: info@grandarte.it
[dal comunicato stampa]
Piero Ferroglia è un artista piemontese contraddistinto dall’amore nei confronti dell’habitat montano, vissuto con lo spirito del camminatore appassionato, toccato dall’intimo proposito di sentire risuonare dentro di sé l’anima dei luoghi ad alta quota, per cercare di afferrarne i segreti e di stabilire attraverso il cammino un legame armonico con quei contesti, rivelatori di un altrove dove scoprire scenari, vivere emozioni, riconoscere la propria vera essenza. “Il suo vivere la montagna”, ha scritto nel 2002 Clizia Orlando, “come fonte di energia pura, spazio di natura che si confonde con la sua indole silenziosa, ma ricca di una frizzante vitalità, non è solo volontà di spaziare con la fantasia oltre i limiti del finito. Il suo dipingere o plasmare ed assemblare derivano dal passeggiare lungo la linea di stretti sentieri, dall’accarezzare il fianco pietroso della montagna, dall’assaporare le fresche increspature del torrente da un’altura che profuma di rododendro”1. Ecco, allora, che la mostra di Ferroglia a Limone Piemonte si rivela come un’occasione propizia per tutti i visitatori interessati a incontrare una visione non comune degli orizzonti alpestri. I frutti pittorici singolari dell’artista casellese, infatti, permetteranno a ciascuno di potersi immergere in paesaggi davvero vertiginosi, estreme propaggini di un mondo, quello alpino, che ci richiama all’autenticità e ci richiede al contempo di fare memoria, così da potercene prendere cura.
Più in generale, è la natura nel suo complesso che si impone all’attenzione di Ferroglia, tanto da occupare un ruolo centrale nella sua produzione artistica, sia pittorica che scultorea. “Il paesaggio diventa realtà”, ha evidenziato Gianfranco Schialvino sempre nel 2002, “non soltanto rappresentata, bensì rivissuta e riproposta come idea di, attraverso cui si può passare, sentiero di bosco e mulattiera alpina, come spazio, e ricordo, rievocazione, album fotografico, lettera mai spedita, come tempo”2. A ben guardare, Ferroglia non è tanto un “pittore di montagne”, quanto piuttosto un vero e proprio “pittore di montagna”, secondo il quale “non basta dipingere le montagne per essere pittore di montagna. Bisogna viverla, questa pittura, camminando, arrampicando, prendendo freddo, provando paura, temendo di non farcela, crollando sfiniti, vegliando la tormenta, raccogliendo un nido caduto, un osso di calce, una piuma, un lichene, un corno spezzato, estasiando per l’alba, ascoltando il seracco, mangiando le croste. Couloir, Dripping, Nell’ombra, Nel ghiaccio, Corpo bianco… sono dei récits d’ascension, pagine di un cahier di rifugio, di quelli attaccati al tavolo con la catenella e la custodia di latta dove segni il percorso che farai quando parti, ancora di notte, e già vedi la prima luce riflettere sulla neve delle cime. Puoi dipingere, allora, con la fantasia”3, ricreando cieli, rocce, fondi di frana, ghiacciai ed effetti di piena delle acque e di disgelo con una notevole e armonica varietà di elaborazioni polimateriche, che ben interagiscono con le superfici colorate.
“Non riesco ad estraniarmi dal mondo naturale”, ha confidato in seguito l’artista a Francesco De Bartolomeis: “Mi fa sentire in un mondo pulito, dove sempre riscopro l’intatta bellezza della materia”. Nello specifico, Ferroglia vive la montagna come uno spazio fascinoso, denso di suggestioni e inquietudini, che ha volutamente eletto a soggetto preferenziale dei suoi dipinti. “Colli, montagne, i loro spazi, le tante cose piccole e grandi che vi s’incontrano assumono valore di simboli riguardanti vicende di vita, compiti da assolvere, sforzi, rivelazioni ma anche impossibilità e vanificazioni. Percorrere sentieri, osservare la varietà di erbe e di fiori, lo scorrere delle acque, i mutamenti di luce, i riflessi, la neve, il ghiaccio, le fenditure, le pietre; dare risposte con il corpo nei lunghi allenamenti per le maratone, accumulo di esperienze anche per il lavoro artistico”4. I dipinti che appartengono “al ciclo della montagna in senso ampio”, secondo ancora De Bartolomeis, “riprendono tecnica e elementi costruttivi” già presenti nelle opere scultoree degli anni ’90 in forma di colonne, ma “con variazioni: solchi scavati o in rilievo (mediante colatura di vinavil e segatura). I colori della natura hanno una collocazione discreta come piccolo riporti fotografici modificati. La lontananza dal naturalismo è realizzata anche come polivalenza della montagna spesso delineata in rilievo come corpo disteso. Dal nero e dal grigio, e dalle loro leggere variazioni cromatiche si diffondono calmi chiarori e riflessi”5.
E nel 2014, Claudio Giusiano, raccogliendo la testimonianza diretta di Piero Ferroglia, ha ribadito l’importanza di ciò che l’artista ha vissuto in prima persona come escursionista e che gli ha permesso di trasmettere alle sue opere le sensazioni e le emozioni provate. Ferroglia è in grado di “leggere su una superficie innevata, nel passaggio di una slavina, nel movimento dell’erba” scossa dal vento, e di trasformare in “immagini” ogni cosa: “spunti, linee e direzioni, grumi di significato che mi porto dietro e che col tempo elaboro”. Ciò che conta, inoltre, nei lavori di Ferroglia è il costante interesse rivolto ai materiali impiegati, allo scopo di dare
consistenza fisica e volumetrica ai colori: “Mi muovo con estrema libertà, e credo che la libertà sia fondamentale per poter lavorare. La materia ha un valore aggiunto rispetto al colore. Racchiude in se stessa simboli e significati nuovi, diversi. Altri”. Ecco le congiunzioni di cemento, ferro, plastica e legno, accostati a superfici dipinte ad olio, che creano l’illusione per l’osservatore di trovarsi di fronte al versante di una montagna, sotto le creste innevate delle rocce o nei pressi di un canalone scavato dall’acqua di scioglimento di un ghiacciaio. Ferroglia ricerca la resa tattile, prim’ancora che visiva, dell’immagine reale, mostrando al fruitore composizioni articolate, in cui l’intento figurativo e la tensione delle forme in direzione astratta si fondono insieme, intrattenendo sempre un dialogo tra concetti opposti che coesistono tra loro: “Terra e cielo, luce e ombra, istinto e logica. Uso la materia per unire i due mondi, che spesso parlano tra loro, senza essere necessariamente in contraddizione”. E infine, non è per nulla secondario il fatto che Ferroglia senta il bisogno di conferire “un valore estetico” qualificante alle sue opere: “Credo che il prodotto d’arte non possa prescindere da questo aspetto”6.
1 C. Orlando, Piero Ferroglia, in Incontri d’Arte. Piero Ferroglia, Catalogo della mostra, Centro Incontri Provincia di Cuneo, Cuneo, Agam, 2002, p. 11.
2 G. Schialvino, Récit d’ascension, ibid., pp. 27-28.
3 Ibid., pp. 29-30.
4 F. De Bartolomeis, Piero Ferroglia. Vitalità astrazione natura, Borgaro-Caselle (To), CURCIO GRAFICHE, 2008, nn.
5 Ibid.
6 C. Giusiano, Piero Ferroglia e l’arte come visione, in “terra, terra! Giornalino delle Comunità Parrocchiali di Corio”, Anno VII, Numero 20, Natale 2014, pp. 10-12 (cfr. il sito internet: http://www.terraterracorio.com/Pdf/pdf20.pdf).
Piero Ferroglia è nato nel 1946 a Caselle Torinese (To), dove vive e lavora. Accanto all’attività di commerciante, ha sviluppato una passione per le Arti figurative che lo accompagna sia dalla età giovanile. È stato allievo di Filippo Scroppo e di Giacomo Soffiantino negli anni ’70 e ’80. Fino al 1988, si è interessato particolarmente della pittura in relazione alla rappresentazione di situazioni ed eventi naturali che studia attentamente avvalendosi anche del mezzo fotografico. Nel 1988, ha iniziato un’attività di ricerca plastica in varie direzioni e con vari materiali che influenzano anche le originali soluzioni pittoriche rispetto alle quali la distinzione tra figurazione e astrazione perde significato. Molte le mostre personali e collettive, a cominciare dal 1972, importanti recensioni critiche e numerosi i riconoscimenti. Tra le principali partecipazioni, si possono indicare: Torino, Circolo degli Artisti, 1972; Torino, Premio Arbarello, Promotrice delle Belle Arti, 1973; Torino, Personale New Generation Magimawa Gallery, 1975; Biennali del disegno, Torre Pellice, 1975 – 1981; Torino, Personale, Galleria Davico, 1978; Torino, Personale, Galleria Davico, 1987; Milano, Mi-Art, 1994; Carmagnola, Palazzo Lomellini, 1997; Torino, Personale, Studio Laboratorio, 2000; Santo Stefano Belbo (Cn), 1° Premio Pittura Cesare Pavese, 2000; Cuneo, Personale, Salone della Provincia, 2002; Torino, Personale, Galleria Arteregina, 2005; Chieri, Galleria il Quadrato, 2007; Bra (Cn), Palazzo Mathis, 2010; Torino, Palazzo della Regione, 2012; Santo Stefano Belbo (Cn), 2° Premio scultura, 2015; Caselle, Prato Fiera, 2015; Bra (Cn), Palazzo Mathis, 2022-2023. Dal 2011, ha esposto in mostre collettive con il gruppo ArtMoleto in diverse località italiane ed europee.