mercoledì 6 giugno 2018

Prosegue la mostra dei disegni di Ego Bianchi


EGO BIANCHI E IL DISEGNO
UNA RAGIONE DI VITA

A cura di Enrico Perotto




fino al 2 settembre 2018



Ex Canonica del Comune 

Rittana (Cuneo)



Oltre il reale, con ‘mano subcosciente’ 

Quando penso a Ego, e mi capita spesso, quello che ancora continuo ad ammirare di più di lui  
è la capacità che aveva nel disegno.  Ego disegnava come la gente parla. 
Giovanni Gagino 



I  disegni  di  Ego  Bianchi,  come  ha  scritto  Ernesto  Caballo,  sono  la  testimonianza  diretta  di  una  “magica identificazione” tra l’artista e il soggetto raffigurato, che si è espressa grazie all’“immediatezza e nettezza  del tratto”(1). Per il bianco e nero di Bianchi, la critica ha parlato, in generale, di stile apollineo e di rimandi a Matisse, Modigliani e Picasso. Di certo, ha precisato Caballo, “intorno ad Ego erano chiamate in causa le più ingegnose e prestigiose calligrafie mediterranee”, a partire da Ingres e in sott’ordine da Degas, e a seguire anche dai disegni di Utamaro, oltre che da Klee, Moore, Gris, Ernst e Calder. “Amava, dovunque la trovasse, la  bella  linea elegante  che  nella  sua  grazia,  generosità  e  freschezza  sensibilizza i contorni e descrive la forma”. Inoltre, in Bianchi, si nota  “un rapporto biologico con il disegno simile a quello dell’uccello con il  canto:  avrebbe  saputo  miniare  manoscritti  antichi  per  ottenere  un  nuovo  diario,  gremito,  delle  proprie  sensazioni”. L’artista di Castel Boglione sa trasmettere la percezione di stati d’animo con assoluta semplicità di  mezzi,  tanto  che  “alcune  sue  figure  emanano  un  silenzio  illusivo  come  certi  personaggi  bizantini”. L’esercizio grafico è continuo, instancabile e  del tutto  funzionale al miglioramento  del proprio  linguaggio pittorico. Per questa ragione, Ego  “continuava a disegnare anche per esercizio di igiene morale”. Il gesto rapido della mano che delinea figure e forme essenziali si ritrovano anche “nelle ceramiche di Mondovì, di Albissola,  di  Sale  Langhe  e  ne suggeriscono il  modellato”.  E  nella  serie  delle  opere  degli  ultimi  anni,  “la  scioltezza del tratto lo indusse a veri e propri racconti mitologici giocati su vibranti corde ottiche e mentali” e  popolati da  ninfe,  fauni  e  divinità  danzanti  in  mondi  rigenerati  di  bellezza  e  istintività,  idealmente sostitutivi  del  tempo  presente,  di  cui  ci  si  può  anche  scordare.  La  riduzione  dei  segni  in tracciati diagrammatici di volti, corpi e oggetti, spinge Bianchi a “lavorare con una ‘mano subcosciente’”, a sondare cioè  la  dimensione  dell’altrove,  avvicinandosi  persino  al “calligrafismo di  non  pochi  astrattisti”.  Ego  ha saputo  entrare  nello  spirito  delle  cose,  annullando  il  confine interdetto  tra  sogno  e  realtà, per  meglio indagare nel profondo se stesso, ma senza purtroppo incontrare l’apprezzamento che avrebbe meritato da parte della critica e del pubblico.   
Se si considera il Diario dell’artista, che comprende gli anni tra il 1946 e il 1948 (2), si apprende che la svolta nella  ricerca  stilistica  di  Bianchi  è  avvenuta  a  partire  dal  mese  di  maggio  del  1946,  con  la  quarantina  di disegni  realizzati  a  Villa  Novaro  (la  casa  di  cura  a  San  Lorenzo  al  Mare),  che,  come  ha  scritto  Ego, “riassumono tutto il mio sentire, il mio progresso, il mio maturare”. È in dialogo con Anna Picco Bergamo, sua  modella  e  musa  ispiratrice  del  momento, che  Bianchi  prende  coscienza  del  valore  dei  suoi  “disegni introspezionisti”  eseguiti  in  una  notte.  Tuttavia,  Ego  valuta  il  tratto  del  suo  segno  “tormentato,  come tormentato e instabile” è tutto il suo  “spirito”. Tutti quei disegni dimostrano lo stato del suo tormento e solo  dopo  la  morte  di  Anna  (12  novembre  1946)  inizia  per  Bianchi  “un  mutamento  mistico  espressivo  e morale”,
che si è compiuto sempre “nella pace fisica e spirituale di Villa Novaro”. Allora la domanda che si pone Ego è: “quale delle due è la mia personalità espressiva? La forte o la delicata? Ecco l’enigma”. La forza  o la delicatezza, insomma, sono i due estremi espressivi entro cui si collocano sia il disegno che la pittura di  Bianchi. Ego si è lamentato poi della scarsa considerazione riservata “specie in provincia” al “segno grafico”,  mentre in Francia esso “è da tempo rivalutato”, ma anche “in alcuni centri culturali e artistici italiani lo si è compreso e fortunatamente si organizzano mostre di soli disegni”. Altra figura importante per l’evoluzione stilistica della produzione grafica di Ego è quella dell’artista monregalese Francesco Franco, al quale sono destinate alcune apprezzate riflessioni che riguardano le qualità specifiche del “segno grafico del disegno di un artista”, da intendersi “come l’espressione più genuina, più efficace”, che “meglio ancora della parola è immediatamente dopo il pensiero che esprime emozioni, sensibilità, patemi d’animo. Col segno della penna che segue il pensiero, non si mente e non si truffa. Lì resta quello che si pensa e quello che non si pensa più al momento del pentimento. Per questo il disegno è il barometro di un artista. Mostrami i disegni e ti dirò che artista sei e a che grado sei giunto di evoluzione”.   
Con i trentasette disegni inediti di Bianchi, datati tra il 1945 e il 1957 ed esposti per la prima volta a Rittana, i visitatori potranno  accostarsi ad una  cospicua  testimonianza dell’immaginario figurativo e della fantasia più astratta e surreale di Bianchi,  il tutto  rivissuto attraverso semplici linee,  che sanno però  contenere o legare insieme tutto ciò che di umano ci appartiene, cioè la vita, il pensiero e l’azione. In un primo gruppo realizzato tra il 1945 e il 1948, la ‘bella linea’ circoscrive una serie di sei ritratti femminili, sia singoli che in coppia,  in  cui  le  donne  appaiono  sedute  o  sdraiate  su  di  un  letto,  abbandonate  nel  sonno  o  colte  in atteggiamento assorto o ancora sorprese in gesti amichevoli di vicinanza affettuosa. In un secondo nucleo di sei studi ritroviamo  quell’inconfondibile  “danza grafica d’autentico ardito virtuosismo nell’impostazione prospettica  delle  figure,  nel  fluttuare  dei  panneggi,  nella  musicalità  pur  drammatica  delle  posture” (3),  che caratterizza le stazioni della Via Crucis in quattordici piatti in ceramica con i quali Bianchi ha partecipato nel 1953  al  Concorso  d’Arte  Sacra  Ceramica  indetto  dalla  Galleria  San  Fedele  di  Milano  e  intitolato Testimonianza  a  Cristo,  risultando  vincitore  del  Premio  “Richard  Ginori”.  In  un  terzo  insieme  del  1948, spiccano   quattro   interessanti   composizioni   di   nudo.   Le   modelle   sono   mostrate   distese   su   letti   o  inginocchiate,  inserite  in  inquadrature  d’impronta  fotografica  molto  ravvicinate  e  viste  da  angolazioni prospettiche  ardite.  La  figura  di  “Marisa”,  per  esempio,  è  rappresentata  mentre  fuma  e  ha  contorni delineati  prima  a  penna  e  poi  ripassati  con  spessi  ed  energici  tratti  a  pennarello.  Altre  modelle  sono osservate  nel  sonno  o  si  presentano  quasi  à  côté  dell’osservatore,  con  segni  essenziali,  tremolanti, macchiati  di  inchiostro  rappreso,  che  rammentano  le  modalità  espressive  dei  contemporanei  disegni  su carta di un Jackson Pollock in transizione verso il dripping. In un quarto raggruppamento di dieci fogli vari compresi  tra  il  1948  e  il  1952,  si  ravvisano  probabili  scorci  di  spazi  esterni  di  Villa  Novaro,  con  figure  di donne  e  uomini  che  leggono  all’aperto,  oltre  a  schizzi  rapidi  di  palme,  agavi  e  cipressi,  di  fiori  e  piante erbacee,  di  un  interno  desolato  di  sala  operatoria,  di  una  danza  primordiale  liberatoria  al  suono  della siringa di Pan, di un’improbabile e dinamica scena di caccia in stile neopaleolitico, di volti umanoidi filiformi, finalizzati  alla  loro  trasformazione  in  prodotti  ceramici  nella  fabbrica  Besio  di  Mondovì,  e  di  interazioni oniriche  di  mani  e  occhi,  che  rinviano  fantasiosamente  a  Miró,  anche  in  versione  più  astraente  ed enigmatica a tempera bianca su sfondo nero. Infine, completano il quadro generale delle opere selezionate per   la   mostra,   dieci   elaborati   grafici   degli   anni   1954-1957,   appartenenti   alla   serie   dei   “ritratti introspezionisti”.  Raffigurano  volti  di  persone  di  famiglia  o  di  appartenenti  all’entourage  dei  suoi conoscitori  e  collezionisti,  e  sono  profilati  all’impronta,  quasi  in  modo  medianico,  con  segni  rapidi  di pennarello lasciato fluire liberamente su fogli di carta o di cartone riciclato senza soluzione di continuità, ciascuno con una propria e profonda caratterizzazione psicologica.    
Enrico Perotto 


1. E. Caballo, Ego Bianchi, Borgo San Dalmazzo (Cn), 1971, pp. 40-42 (per tutte le citazioni nel testo).
2. Cfr. E. Bianchi, Diario 1945-1948, Edizione condotta sull’autografo, Una premessa di P. Arese, Prefazione critica di E. Perotto, Boves, 2010, pp. 124-
131 (per tutte le citazioni nel testo). 

3. E. Briatore, Ego Bianchi: un impegno aperto e inquieto, in Omaggio a Ego Bianchi, Catalogo della mostra, Palazzo Municipale, Mondovì, 1982, p. 4. 



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