EGO BIANCHI E IL DISEGNO
UNA RAGIONE DI VITA
A cura di Enrico Perotto
fino al 2 settembre 2018
Ex Canonica del Comune
Rittana (Cuneo)
Oltre il reale, con ‘mano subcosciente’
Quando penso a Ego, e mi capita spesso, quello che ancora continuo ad ammirare di più di lui
è la capacità che aveva nel disegno. Ego disegnava come la gente parla.
Giovanni Gagino
I disegni di Ego Bianchi, come ha scritto Ernesto Caballo, sono la testimonianza diretta di una “magica identificazione” tra l’artista e il soggetto raffigurato, che si è espressa grazie all’“immediatezza e nettezza del tratto”(1). Per il bianco e nero di Bianchi, la critica ha parlato, in generale, di stile apollineo e di rimandi a Matisse, Modigliani e Picasso. Di certo, ha precisato Caballo, “intorno ad Ego erano chiamate in causa le più ingegnose e prestigiose calligrafie mediterranee”, a partire da Ingres e in sott’ordine da Degas, e a seguire anche dai disegni di Utamaro, oltre che da Klee, Moore, Gris, Ernst e Calder. “Amava, dovunque la trovasse, la bella linea elegante che nella sua grazia, generosità e freschezza sensibilizza i contorni e descrive la forma”. Inoltre, in Bianchi, si nota “un rapporto biologico con il disegno simile a quello dell’uccello con il canto: avrebbe saputo miniare manoscritti antichi per ottenere un nuovo diario, gremito, delle proprie sensazioni”. L’artista di Castel Boglione sa trasmettere la percezione di stati d’animo con assoluta semplicità di mezzi, tanto che “alcune sue figure emanano un silenzio illusivo come certi personaggi bizantini”. L’esercizio grafico è continuo, instancabile e del tutto funzionale al miglioramento del proprio linguaggio pittorico. Per questa ragione, Ego “continuava a disegnare anche per esercizio di igiene morale”. Il gesto rapido della mano che delinea figure e forme essenziali si ritrovano anche “nelle ceramiche di Mondovì, di Albissola, di Sale Langhe e ne suggeriscono il modellato”. E nella serie delle opere degli ultimi anni, “la scioltezza del tratto lo indusse a veri e propri racconti mitologici giocati su vibranti corde ottiche e mentali” e popolati da ninfe, fauni e divinità danzanti in mondi rigenerati di bellezza e istintività, idealmente sostitutivi del tempo presente, di cui ci si può anche scordare. La riduzione dei segni in tracciati diagrammatici di volti, corpi e oggetti, spinge Bianchi a “lavorare con una ‘mano subcosciente’”, a sondare cioè la dimensione dell’altrove, avvicinandosi persino al “calligrafismo di non pochi astrattisti”. Ego ha saputo entrare nello spirito delle cose, annullando il confine interdetto tra sogno e realtà, per meglio indagare nel profondo se stesso, ma senza purtroppo incontrare l’apprezzamento che avrebbe meritato da parte della critica e del pubblico.
Se si considera il Diario dell’artista, che comprende gli anni tra il 1946 e il 1948 (2), si apprende che la svolta nella ricerca stilistica di Bianchi è avvenuta a partire dal mese di maggio del 1946, con la quarantina di disegni realizzati a Villa Novaro (la casa di cura a San Lorenzo al Mare), che, come ha scritto Ego, “riassumono tutto il mio sentire, il mio progresso, il mio maturare”. È in dialogo con Anna Picco Bergamo, sua modella e musa ispiratrice del momento, che Bianchi prende coscienza del valore dei suoi “disegni introspezionisti” eseguiti in una notte. Tuttavia, Ego valuta il tratto del suo segno “tormentato, come tormentato e instabile” è tutto il suo “spirito”. Tutti quei disegni dimostrano lo stato del suo tormento e solo dopo la morte di Anna (12 novembre 1946) inizia per Bianchi “un mutamento mistico espressivo e morale”,
che si è compiuto sempre “nella pace fisica e spirituale di Villa Novaro”. Allora la domanda che si pone Ego è: “quale delle due è la mia personalità espressiva? La forte o la delicata? Ecco l’enigma”. La forza o la delicatezza, insomma, sono i due estremi espressivi entro cui si collocano sia il disegno che la pittura di Bianchi. Ego si è lamentato poi della scarsa considerazione riservata “specie in provincia” al “segno grafico”, mentre in Francia esso “è da tempo rivalutato”, ma anche “in alcuni centri culturali e artistici italiani lo si è compreso e fortunatamente si organizzano mostre di soli disegni”. Altra figura importante per l’evoluzione stilistica della produzione grafica di Ego è quella dell’artista monregalese Francesco Franco, al quale sono destinate alcune apprezzate riflessioni che riguardano le qualità specifiche del “segno grafico del disegno di un artista”, da intendersi “come l’espressione più genuina, più efficace”, che “meglio ancora della parola è immediatamente dopo il pensiero che esprime emozioni, sensibilità, patemi d’animo. Col segno della penna che segue il pensiero, non si mente e non si truffa. Lì resta quello che si pensa e quello che non si pensa più al momento del pentimento. Per questo il disegno è il barometro di un artista. Mostrami i disegni e ti dirò che artista sei e a che grado sei giunto di evoluzione”.
Con i trentasette disegni inediti di Bianchi, datati tra il 1945 e il 1957 ed esposti per la prima volta a Rittana, i visitatori potranno accostarsi ad una cospicua testimonianza dell’immaginario figurativo e della fantasia più astratta e surreale di Bianchi, il tutto rivissuto attraverso semplici linee, che sanno però contenere o legare insieme tutto ciò che di umano ci appartiene, cioè la vita, il pensiero e l’azione. In un primo gruppo realizzato tra il 1945 e il 1948, la ‘bella linea’ circoscrive una serie di sei ritratti femminili, sia singoli che in coppia, in cui le donne appaiono sedute o sdraiate su di un letto, abbandonate nel sonno o colte in atteggiamento assorto o ancora sorprese in gesti amichevoli di vicinanza affettuosa. In un secondo nucleo di sei studi ritroviamo quell’inconfondibile “danza grafica d’autentico ardito virtuosismo nell’impostazione prospettica delle figure, nel fluttuare dei panneggi, nella musicalità pur drammatica delle posture” (3), che caratterizza le stazioni della Via Crucis in quattordici piatti in ceramica con i quali Bianchi ha partecipato nel 1953 al Concorso d’Arte Sacra Ceramica indetto dalla Galleria San Fedele di Milano e intitolato Testimonianza a Cristo, risultando vincitore del Premio “Richard Ginori”. In un terzo insieme del 1948, spiccano quattro interessanti composizioni di nudo. Le modelle sono mostrate distese su letti o inginocchiate, inserite in inquadrature d’impronta fotografica molto ravvicinate e viste da angolazioni prospettiche ardite. La figura di “Marisa”, per esempio, è rappresentata mentre fuma e ha contorni delineati prima a penna e poi ripassati con spessi ed energici tratti a pennarello. Altre modelle sono osservate nel sonno o si presentano quasi à côté dell’osservatore, con segni essenziali, tremolanti, macchiati di inchiostro rappreso, che rammentano le modalità espressive dei contemporanei disegni su carta di un Jackson Pollock in transizione verso il dripping. In un quarto raggruppamento di dieci fogli vari compresi tra il 1948 e il 1952, si ravvisano probabili scorci di spazi esterni di Villa Novaro, con figure di donne e uomini che leggono all’aperto, oltre a schizzi rapidi di palme, agavi e cipressi, di fiori e piante erbacee, di un interno desolato di sala operatoria, di una danza primordiale liberatoria al suono della siringa di Pan, di un’improbabile e dinamica scena di caccia in stile neopaleolitico, di volti umanoidi filiformi, finalizzati alla loro trasformazione in prodotti ceramici nella fabbrica Besio di Mondovì, e di interazioni oniriche di mani e occhi, che rinviano fantasiosamente a Miró, anche in versione più astraente ed enigmatica a tempera bianca su sfondo nero. Infine, completano il quadro generale delle opere selezionate per la mostra, dieci elaborati grafici degli anni 1954-1957, appartenenti alla serie dei “ritratti introspezionisti”. Raffigurano volti di persone di famiglia o di appartenenti all’entourage dei suoi conoscitori e collezionisti, e sono profilati all’impronta, quasi in modo medianico, con segni rapidi di pennarello lasciato fluire liberamente su fogli di carta o di cartone riciclato senza soluzione di continuità, ciascuno con una propria e profonda caratterizzazione psicologica.
Enrico Perotto
1. E. Caballo, Ego Bianchi, Borgo San Dalmazzo (Cn), 1971, pp. 40-42 (per tutte le citazioni nel testo).
2. Cfr. E. Bianchi, Diario 1945-1948, Edizione condotta sull’autografo, Una premessa di P. Arese, Prefazione critica di E. Perotto, Boves, 2010, pp. 124-
131 (per tutte le citazioni nel testo).
3. E. Briatore, Ego Bianchi: un impegno aperto e inquieto, in Omaggio a Ego Bianchi, Catalogo della mostra, Palazzo Municipale, Mondovì, 1982, p. 4.
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