L’intervento di Giovanni Kronenberg fa riferimento a un episodio avvenuto nel 2006. Si tratta dell’avvelenamento avvenuto a Londra, mediante una sostanza radioattiva disciolta forse in una tazza di the, dell’ex spia russa Alexander Litvinenko. L’uomo morì tre settimane dopo allo University College Hospital della capitale londinese. In una lettera resa nota dopo la sua morte, l’uomo punta il dito direttamente contro il premier russo, Vladimir Putin, quale mandante dell’esecuzione.
Nell'ultima conversazione avuta con l'amico Andrei Nekrasov, quando ancora era in grado di parlare, Litvinenko - che nell'ultimo periodo stava indagando sull'assassinio di Anna Politkovskaya, la giornalista russa ferocemente critica del governo di Vladimir Putin e uccisa a Mosca il 7 ottobre scorso - ha sottolineato come il suo avvelenamento sia la prova che nella sua campagna contro il Cremlino aveva colpito le persone giuste. «Questo è quello che succede a chi dice la verità», aveva sussurrato. L'ex spia si riferiva alle accuse contenute nel suo libro The Fsb blows up Russia, in cui aveva sostenuto che ci fossero stati i servizi segreti di Mosca dietro alla sanguinosa scia di attentati dell'agosto del 1999 nella capitale russa, costati la vita a centinaia di persone e utilizzati per giustificare l'inizio della seconda guerra in Cecenia. Ai misteri sui mandanti dell'uccisione dell'ex spia - il Cremlino ha bollato come “sciocchezze” le teorie secondo cui ci sarebbe la leadership di Mosca dietro la sua morte - si aggiunge il mistero sulla sostanza con cui è stato avvelenato.
Quella di Alexander Litvinenko è dunque una spy story ancora oggi irrisolta, degna di un film di 007. Una notizia che ha trovato immediato interesse da parte della stampa internazinoale che, in maniera del tutto stereotipizzata, ha dato ampio spazio a un evento tragico dai contorni inquientanti.
Giovanni Kronenberg decide di tornare a riflettere su questo evento in maniera provocatoria. L’immagine scelta per l’intervento nell’ambito di Take me a question è quella dell’uomo russo, deformata digitalmente attraverso una tecnica che ci fa pensare in maniera quasi immediata a quanto da bambini eravamo soliti fare in maniera ludica e divertita, utilizzando lo scotch per deformare la mimica del nostro volto. L’azione che compie in questo caso l’artista si proietta tuttavia ben oltre, generando riflessioni e significati a più livelli. L’immagine Alexander Litvinenko volutamente modificata, rimanda in prima istanza al veleno che ha devastato il corpo del russo. La brutalità di un volto divenuto orribile ci ricorda la spietatezza del potere, sia esso manifesto o occulto. Inoltre, l’accento che implicitamente si vuole porre è quello rivolto alla distorsione che il sistema dei massmedia possono esercitare sulla nostra capacità di osservazione e su quella di giudizio nei confronti della realtà. Nell’accostare frammenti che rompono l’integrità di un volto, Giovanni Kronenberg ci porta a riaprire gli occhi, ci invita a osservare meglio e a ricomporre gli eventi del nostro tempo partendo dai frammenti che faticosamente è necessario individuare per ricostruire la verità delle cose. (Contributo critico di Andrea Lerda)
Esiste un paradigma indiziario, utilizzato non solo da spie e da detective in giro per il mondo, ma di uso comune anche tra visionari, artisti, critici e scrittori. Tale paradigma si basa su un’indagine per piste, tracce, indizi. Richiede un’osservazione dettata dagli occhi del cervello e da una diagnosi scientifica. In casi come questi, l’indagine è rivolta spesso allo statuto dell’immagine. Nella mia indagine cercavo di risalire a quella dell’artista Giovanni Kronenberg, che bizzarramente aveva deciso di proporre per un progetto pubblico in un piccolo paese italiano l’immagine di una spia dal volto coperto di scotch. Più precisamente, si tratta del ritratto di una spia russa uccisa per avvelenamento nel 2006. L’immagine è stata ricavata dalla sua fagocitazione/ stereotipizzazione operata dai media e poi mutuata per intervento grafico e per assimilazione alla serie Monster dell’artista Douglas Gordon. Uno degli indizi che posso fornire al pubblico è forse la sua post-produzione. Come la figura reale della spia, quella costruita dai media e infine quella per intervento dell’artista (non diretto) agiscono sulla realtà. I mostri, come in questa immagine, ci offrono la vita e la morte della realtà, contribuisco a costruire storie e a nasconderne altre. (Contributo critico di Sonia D'Alto)
Giovanni Kronenberg nato a Milano nel 1974 vive a lavora a Milano.
Il suo lavoro è stato esposto in gallerie , fondazioni e musei tra cui si ricordano Renata Fabbri arte contemporanea di Milano (2017), Z2o Sara Zanin di Roma(2016), Studio Guenzani di Milano (2012, 2007, 2006), la galleria Fuoricampo Bruxelles (2014), il MAXXI di Roma (2007), il MACRO di Roma (2012), la Nomas Foundation di Roma (2012), l'istituto culturale Polacco di Roma (2015), il Museo di Arte contemporanea di Lugano (2009), la basilica Palladiana di Vicenza (2013), il Foro Italico di Roma (2014), la Fondazione Spinola Banna di Torino (2008), la Fondazione Ratti di Como (2003), la Fondazione Sandretto di Torino (2011), Arte all'arte/Galleria Continua di S.Gimignano (2005), e Viafarini a Milano (2005 e 2004). Sul suo lavoro hanno scritto critici come Alessandro Rabottini, Simone Menegoi, Davide Ferri.
INTERVENTO #04
2-26 GIUGNO 2018 / GIOVANNI KRONENBERG
con un contributo critico di Andrea Lerda e Sonia D'Alto
Crediti: Galleria Sara Zanin, Roma e Renata Fabbri Arte Contemporanea, Milano
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.