Guarene, 18 maggio: la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo presenta due nuove mostre a Palazzo Re Rebaudengo e un’opera di Binta Diaw al Parco d’arte
Our Rivers Share a Mouth / I nostri fiumi condividono una bocca (Palazzo Re Rebaudengo) Artistə: Maria Giovanna Abbate, Annalisa Cannito, Liryc De La Cruz, Adji Dieye, Derek MF Di Fabio, Grace Martella, Genny Petrotta, Sandra Rilletti, Noura Tafeche, Valerie Tameu
Alessio Pellicoro. Accepting the Void (Palazzo Re Rebaudengo)
Binta Diaw. Paesaggi corporali (Parco d’Arte)
Inaugurazione: 18 maggio, h 17 a Palazzo Re Rebaudengo, h 19 al Parco d’arte, cocktail a seguire
Palazzo Re Rebaudengo, Via Roma 1, Guarene (CN)
Parco d’arte, Viale Bouillargues 34, Guarene (CN)
CS
Our Rivers Share a Mouth / I nostri fiumi condividono una bocca
a cura di Aigerim Kapar, Andria Nyberg Forshage, Jiayue He
mostra conclusiva della 18º edizione del Young Curators Residency Programme, coordinato da Michele Bertolino
Artistə: Maria Giovanna Abbate, Annalisa Cannito, Liryc Dela Cruz, Adji Dieye, Derek MF Di Fabio, Grace Martella, Genny Petrotta, Sandra Rilletti, Noura Tafeche, Valerie Tameu
18 maggio – 21 luglio 2024
Palazzo Re Rebaudengo Piazza Roma 1, Guarene (CN)
Opening: 18 maggio 2024, h. 17
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo presenta, dal 18 maggio al 21 luglio a Palazzo Re Rebaudengo a Guarene la mostra “I nostri fiumi condividono una bocca”. La mostra, che conclude la 18esima edizione dello Young Curators Residency Programme, indaga il tema della solidarietà e condivisione nel lavoro di dieci artistə situatə in Italia, ponendo attenzione alle differenze plurali e singolari.
La foce (in inglese mouth) di un fiume è il punto in cui il fiume ne incontra un altro, la bocca (mouth) è definita come l’origine del discorso: giustapporne i significati parla alle relazioni diversificate ma fluide che uniscono i corpi e i luoghi, sedimentano le storie negli archivi, si muovono tra terre, da fiumi a mari, tra memorie e sentimenti, tra il personale e il politico.
Nelle diverse pratiche, lə artistə presentatə riflettono sulle memorie collettiva, la giustizia ambientale, si muovono come corpi agenti e propongono azioni di solidarietà comunitaria. Attraverso il ricordare, l’attivazione di archivi e tramite rituali di cura e desiderio, lə artistə discutono le eredità attuali dell’imperialismo e delle infrastrutture coloniali e come queste si specchino nelle complesse realtà postcoloniali. Affrontare queste realtà obbliga a confrontarsi con le continue distruzioni di ecosistemi e di mondi-della-vita a causa di sfruttamento, estrazione e violenza, influendo sulle condizioni umane e più-che-umane per la vita.
Suggerendo strategie e immaginari per spostare – queerizzare, trasgredire, abolire, riparare, influenzare – le narrazioni dominanti, lə artistə interpretano le lotte locali, globali, sociali e personali come interconnesse, attraverso la migrazione della conoscenza, al di là dei confini territoriali.
Annalisa Cannito, in collaborazione con lə attivistə della Valle del Bormida, riattiva l’archivio di uno dei primi movimenti ambientalisti rurali in Italia, con una storia centenaria di resistenza contro l’ACNA, una fabbrica chimica. Continuando la sua ricerca In the Belly of Fascism and Colonialism, rilegge il passato storico, le dinamiche economiche dello sfruttamento, portando le prove dell’intreccio tra questioni locali e globali.
L’installazione multimediale di Maria Giovanna Abbate riunisce opere realizzate da diversə artistə e associazioni attive intorno al fiume Volturno (CE). Utilizzando la psicogeografia, Abbate naviga tra situazioni individuali e ambientali marcate da tensioni, precarietà e fragilità, riflettendo sul ruolo dell’arte nell’avvio di processi di trasformazione.
Attraverso l’ascolto e la performance, Sandra Rilletti invita il pubblico ad ascoltare il proprio corpo, e lo stress che spesso riceve, e la connessione con i propri ambienti. Rilletti racconta il Mediterraneo tramite miti e racconti, come uno spazio per il sonno e la rigenerazione al di là del linguaggio patriarcale. Qui balene e delfini suggeriscono conoscenze somatiche ed esperienze per muoversi insieme attraverso il dolore del presente turbolento.
Su drappi di seta bianca, Adji Dieye utilizza materiali fotografici selezionati dagli archivi nazionali del Senegal e dal suo archivio personale, richiamando ciò che manca tra realtà coloniali e memorie individuali, mettendo in discussione la formazione, l’esperienza e la rappresentazione delle identità della diaspora.
Noura Tafeche connette arte e attivismo indagando le modalità in cui l’estetica della festa, i colori pastello e la romanticizzazione interagiscono con la violenza, intesa come manifestazione e sublimazione, imbarazzo o vendetta. Archiviando e mappando i flussi di immagini e dati caricati sui social media, Tafeche adotta una visione critica su come gli immaginari di internet confondano il “carino” e la propaganda bellica.
Affrontando il recente passato industriale e movimenti migratori degli individui con un’attenzione poetica effimera, Valerie Tameu mostra come i ricordi si creino attraverso l’interazione tra archivi personali e istituzionali. Con I Miss You So Much, Tameu coreografa un ricordo collettivo della vita della comunità nera, della classe operaia e delle organizzazioni sociali nella Torino degli anni ’80.
La ricerca artistica sfaccettata di Derek MF Di Fabio è rappresentata con una serie di disegni. Diffusi nello spazio espositivo, indicano verso percorsi queer e femministi quantistici tramite cui i nostri sensi e le nostre comunità possono accogliere la pluralità e aprirsi all’ignoto.
Nel lavoro video Kumeta, Genny Petrotta racconta con attenzione la storia della rivolta della Repubblica Contadina che fu fondata a Piana degli Albanesi, città natale dell’artista, negli anni ’40. Petrotta affronta la dinamica della trasmissione intergenerazionale del trauma, guardando al passato non dimenticato della violenza vissuta dalla comunità Arbëreshë.
La serie fotografica di Grace Martella traccia un’autobiografia disorientata dell’adolescenza. Spaziando tra il lirismo dei paesaggi pugliesi e le prospettive transfemministe sulla bellezza, le opere parlano di un corpo sublimato che muta costantemente e muovendosi lascia tracce dietro di sé.
L’installazione video di Liryc Dela Cruz, Il Mio Filippino: For Those Who Care to See, affronta gli aspetti problematici dell’atto della cura e mette in discussione l’identità predefinita che viene imposta sui lavoratori domestici filippini in Italia. Traducendo silenziosamente l’invisibile in visibile, l’opera pone la domanda: i corpi marginalizzati possono davvero riposare?
In occasione de I nostri fiumi condividono una bocca, una pubblicazione rappresenta uno spazio ulteriore, una foce di fiume aperta, in cui condividere e raccogliere materiali di approfondimento, tra cui ricerche artistiche in corso, scritti poetici, foto, documenti personali e saggi curatoriali. Il volume invita il pubblico a negoziare la propria comprensione delle realtà incontrate nelle sale espositive e ad approfondire le proprie riflessioni al di là dello spazio e del tempo della mostra.
Mostra nell’ambito di SNODI.
Orari dal 19 maggio al 21 luglio: sabato e domenica 12-19 (ingresso libero)