giovedì 18 giugno 2020

Claudio Salvagno (1955-2020)


"La scultura è un prolungamento del pensiero, oscuro, quanto basta da disconoscerla a tratti, ma da riconoscermi come contadino o artigiano. Il resto non mi riguarda granché, bellezza e Fortuna sono del tutto casuali."
"Io ritengo che tutte le opere compiute dall'uomo posseggano un qualcosa di spirituale. Tuttavia per me la scultura non è soltanto un bisogno spirituale, ma fisiologico: scolpire per me e come mangiare. Ciò che non apprezzo del mondo dell'arte è che a volte si basa troppo su supponenze: io propendo per una concezione dell'arte più umile, più artigiana".

(Claudio Salvagno)


Lontano dai clamori del sistema ufficiale dell'arte, opera silenziosamente la sua figura di artigiano contadino, come lui stesso vuole essere considerato, impegnato nel contrastare la divisione tra il cuore e la mente dell'uomo globale contemporaneo e il tronco non più tanto robusto delle proprie origini naturali. Salvagno è autore di versi in lingua occitana, immanenti e metafisici insieme, in cui i suoni, i colori, i gesti e le emozioni del quotidiano trasfigurano in desideri d'infinito. Scolpisce con maestria il legno, ora lasciandone a vista il tessuto vegetale ora rivestendone le forme definite con colori di forte impatto timbrico, e si esprime con lo spirito di un antico artefice alpino, che vuole farsi carico della vita arborea, riflesso simbolico di quella umana. Nelle sue opere affiorano miti e idoli riconoscibili come figure archetipo, ma che sono rivisitati con l'occhio di chi vi scorge una mutazione fisica in atto. Un corpo materno, ma dubbio, di una pianta è colto nel momento di generare una colonna di crescenze vegetali, tumide e inverosimili; e l'immagine surreale di un personaggio femminile misterioso subisce un'improvvisa e cruenta metamorfosi organica, trattata con l'enfasi coloristica che si ritrova in una scultura lignea popolare di età barocca e con il senso acuto per il dramma della violenza esercitata nei confronti della bellezza, della poesia e della natura.

Enrico Perotto
Dal catalogo "Nove scultori piemontesi a Cuneo" (8-31 maggio 2003)










Potonóira - Baciatrice, 2002, legno di tiglio







Lo brutlar dal tiu motur daluenh 
coparè plus en dui la comba 
la tia charja de bòsc o fen 
marcarè plus ton passatge.

Aora lo silenci chucha decò 
lo calar de l'aiga de la font. 
Lauses estrameiraas, 
pòsts d'un portal desfach, 
segelins, brots de palha e fen, 
amolines, claps.
Tot fenìs aquì, empatanhat ent 
la malinconia que cor dedins i orties. 
Greu da ailamont chei
a cobrir i nòstres retards 
un vielh sòmi de caluse.






Installazione La Via del Sale, Cappella di San Bernardo Castagnito, 2004





Me levo de matin
lo còs linfrat, l'alen gachit
come se 'na pena botjaa da dalònh
attravèrs la tromba de le nuech
foguesse rintraa dins lo còs
pas greus, chauciers empautats,
una armada de jorns negats fai guerra. Aparats da la mòrt
                                  
degun es estat a garda de l'amor

e sas ren coma se pòl continuar a gachar en patz i mòrts

se pas encara sabem a aquò que sierv, cò qu'es
tot aquest nòstre trebular ent l'ombra
totes questes batalhes de drais dins lo cap
aquest gandir-se o cheire per un agach
tot aquò e encar mai
sensa poler salhir da aquestes prisons de charn
qu'en avem pro dal dolor que nos enfrangana
quora nos laissem
quora nos quitem i mans
e sens esper tombem dedins lo borre
come còs mòrt tomba.




Mi alzo al mattino
il corpo bastonato, il respiro stanco
come se una pena che mossa da lontano
attraverso la tromba della notte
sia entrata dentro il corpo
passi pesanti, scarponi infangati,
un esercito di giorni negati mi fa guerra. Riparati dalla morte
nessuno è rimasto a guardia dell'amore

e non si sa come continuare a guardare in pace i morti
se ancora non sappiamo a cosa serve, cos'è
tutto questo nostro tribolare nell'ombra
tutte queste guerre di draghi dentro il capo
questo salvarci o cadere per uno sguardo
tutto questo e altro ancora
senza mai poter uscire da queste prigioni di carne
che ne abbiamo abbastanza del dolore che ci strazia 
quando ci lasciamo
quando le mani si lasciano
quando senza speranza cadiamo dentro l'ombra
come corpo morto cade

da: Claudio Salvagno, L'autra armada, Nino Aragno Editore, 2013







Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.