SIG.RA KRUNZ LA SMETTA
DI GIOCARE CON QUEI FIORI
Collettiva fotografica
a cura di Claudio Lorenzoni
testo: Francesca Marica
25 marzo - 25 aprile 2017
Inaugurazione 25 marzo 2017 h. 17.30
Pinacoteca Civica di Camo (Cuneo)
comune.camo@libero.it
[comunicato stampa]
Sono una donna
e celebro ogni piega del mio
corpo
ogni piccolo atomo che mi
forma
dove navigano i miei dubbi e
le mie speranze
Tutte le contraddizioni sono
meravigliose
perché mi appartengono
Sono una donna e accolgo con
favore ogni arteria
dove imprigiono i segreti
della mia stirpe
e tutte le parole degli
uomini sono nella mia bocca
e tutta la saggezza delle
donne è nella mia saliva.
[Mikeas Sànchez, Uno, da
Mojk’jäyä-Mokaya]
Ho intonacato i quattro muri
in bianco
attorno ci ho messo uno
schianto
di fiori, un sussurro di
piante.
All’interno velluti
odore arso di arance.
E, appena finita la casa,
ne sono sgusciata da un
fianco.
[Daria Menicanti, Casalinga,
Ma, da Poesie
per un passante]
Il mio potere di donna
consiste nel definire me stessa e non farmi definire dall’esterno
– Audre Lorde [così rispondeva ad una giornalista che le chiedeva
di definirsi].
[…] Non
mostratemi rane e serpenti
Aspettandovi che io urli
Se mi spavento
Lo faccio solo nei miei
sogni
Ho un incantesimo
Nascosto nella manica,
Posso camminare sul fondo
del mare
Senza bisogno di respirare
La vita non mi spaventa per
niente
Per niente. Per niente
La vita non mi spaventa per
niente
[Maya Angelou, da La vita non
mi spaventa per niente]
Una premessa poetica per
introdurre questa collettiva tutta al femminile. I versi delle
quattro poetesse scelte si legano in qualche modo alla sensibilità
delle artiste esposte. Alla poesia l’arduo compito di introdurre
dunque il progetto, raccontando sì, ma, senza svelare troppo.
Perché la poesia è sempre una buona bussola per orientarsi nel
mondo. E dentro le mura di questo progetto fotografico la poesia
respira profondamente e prende dimora in ogni singolo scatto.
Comincio col dire che è un
progetto fotografico a cui non si può rimanere indifferenti questo.
È un progetto che smuove, che si infiltra, che si appropria di ogni
anelito. È un progetto che parla.
Non aspettatevi nessun manuale
di istruzioni per l’uso, però. Non sarei in grado di elaborarne
uno credibile e valido. Non credo di essere la persona giusta per
quel tipo di compito. Non aspettatevi nessun manuale per orientarvi
tra gli scatti delle otto artiste selezionate. L’orientamento del
resto non è neanche detto che in casi come questo serva. Sono
convinta che l’arte non vada spiegata ma respirata, percepita,
sedimentata, introitata. E ognuno lo deve fare con i suoi tempi, i
suoi modi, la sua sensibilità, la sua consapevolezza. Niente
istruzioni quindi ma solo qualche spunto di partenza su cui
riflettere insieme.
Come in un allestimento
teatrale minimo e essenziale,
in questa collettiva, al centro di un ideale palcoscenico, si
collocano otto donne che coraggiosamente hanno accettato la sfida di
raccontare e raccontarsi, scavandosi dentro, talvolta anche
dolorosamente, fino a vomitare fuori la loro essenza più vera. Otto
donne, e cioè: Federica, Anna, Trish, Elisabetta, Irene, Nicoletta,
Birgit e Francesca.
8 donne diverse
per età e ricerca
visiva.
8
donne anche geograficamente distanti.
8 donne con
un bagaglio di vita non necessariamente simile ma con una stessa
attitudine, uno
stesso sguardo sul
mondo, uno stesso modo di sentire.
8 volti.
8 metamorfosi.
8 mondi.
8 sublimazioni.
8 sogni.
8 cuori che
hanno usato la fotografia per disegnare la geografia del loro (e del
nostro) presente,
rivisitando il
passato e guardando
al futuro.
8 storie
fatte di
scambi, appartenenze, bivi e incroci.
8 partenze,
8 ritorni
e 8 flashback.
8 caratteri
(artistici) incondizionati. 8
vite [e ognuna con
una precisa cifra dello stare
nel mondo].
8 temi
e nessun tema.
8 orizzonti
designati. 8
temperamenti.
8 immaginari
in prospettiva.
8 mondi in divenire.
Otto donne. Ma farne una
questione (solo) di genere sarebbe troppo semplice, troppo riduttivo
e anche troppo (e profondamente) ingiusto.
In principio, doveva essere
l'importanza delle piccole cose. La collettiva fotografica
doveva parlare di quello.
Poi un incontro casuale del
curatore con il libro di Leonetta Bentivoglio su Pippo Delbono e i
suoi corpi senza menzogna. I/corpi/senza/menzogna: ovvero, un amore e
una folgorazione a prima vista. E in un attimo, tutte le carte in
tavola sono state scompaginate e il pensiero ha rincorso un’ideale
signora Krunz ([…]
sig.ra Krunz/ la smetta di giocare/ con quei fiori […]).
Come spesso accade, ciò che
doveva essere non è stato ma si è evoluto, trasformato, arricchito.
L’importanza delle contaminazioni e delle folgorazioni guidate dal
caso – direbbe qualcuno.
Alle otto artiste invitate al
progetto fotografico è stato quindi chiesto, non senza una dose di
spregiudicata imprudenza, di mettersi a nudo. Di spogliarsi e
raccontarsi mettendo al centro del loro monologo, il proprio corpo.
Un corpo il più possibile
destrutturato: non sorretto da maschere, non alimentato da pudori,
non ingabbiato dentro inutili e anacronistiche ipocrisie. Alle
artiste è stato chiesto di essere quanto di più lontano possibile
dalla signora Krunz, insomma. Alle artiste è stato chiesto di
prestare orecchio per potersi ascoltare meglio. E loro lo hanno
fatto. Indubitabilmente.
Il corpo, è l’Io narrante
di questa mostra.
Come un moderno Virgilio, il
corpo di ciascuna delle otto artiste, ci prende per mano fino a
mostrarci dove la carne finisce per incontrare lo spirito. Otto
artiste. Otto corpi. Otto storie.
Negli scatti non troverete mai
due volte lo stesso corpo. Ci sono corpi che danzano. Corpi che
ammutoliscono, e talvolta restano immobili. Corpi che gemono. Corpi
feriti, morti ma inaspettatamente resuscitati. Corpi ribelli che
scalpitano ma non si piegano. Corpi che pongono domande e spesso non
sanno rispondere se non attraverso i perchè. Corpi alienati. Corpi
abusati. Corpi rifugio. Corpi che abbracciano. Corpi che accarezzano.
Corpi che seducono. Corpi erotici. Corpi delusi. Corpi oltraggiati.
Corpi (di)svelati.
Ognuna delle otto artiste ha
portato in scena il proprio mondo.
Federica, la più giovane
delle artiste selezionate, a dispetto dell’età tradisce una
maturità non comune. Le piace Vivian Maier, la bambinaia fotografa a
sua insaputa. E come Vivian, lei è accuditiva e pronta a farsi
carico del benessere di chi la circonda, proteggendo chi ama. Un
rapporto speciale con gli specchi il suo. E un amore incondizionato
per la sorella e il nonno, spesso protagonisti delle sue
inquadrature.
Anna, è passione e dolore.
Puro travaglio interiore. Tutto diventa quasi votivo e sacrificale
nei suoi scatti. Spesso si rimane spiazzati davanti alla evidente
commistione tra sacro e profano con cui si fa portatrice di una
critica aspra e pungente verso una società sorda al dolore dei più
indifesi. Lei vuole scuotere, e anche scandalizzare se questo può
essere utile per aprire il velo di indifferenza delle nostre
addormentate coscienze. Il corpo, il mare, le bambole: la sua
narrazione spesso si articola attraverso questi tre elementi solo
all’apparenza distanti e disomogenei.
Trish, è femmina che seduce.
Ha un viso da bambola, una dolcezza antica nei lineamenti e una luce
che arriva da lontano. C’è un dolore in lei. E le persone che
portano addosso un dolore vanno avvicinate con prudenza come scriveva
l’adorata Emily Dickinson in uno dei suoi più noti sonetti “Ad
un cuore spezzato nessun cuore si volga se non quello che ha l'arduo
privilegio d'avere altrettanto sofferto”.
Elisabetta ha occhi che sanno
scrutare a fondo. Specializzata in ritratti, è nell’incontro con
l’altro che riesce a dare il meglio di sé.
Teatrale, scenica. I suoi
scatti mi hanno fatto pensare a una frase del grande Jeanloup Sieff,
sono fotogeniche le
persone abitate, quelle vuote non lo sono (e
lei questo segreto del grande Maestro lo deve aver compreso già da
molto tempo). Presenta un progetto in cui la natura e l’uomo non
hanno un rapporto di potere/dominazione ma interagiscono in armonia
con forme e intensità poetiche. I suoi sono scatti analogici senza
alcun ritocco digitale, che segnano un ritorno all’essenziale, alla
purezza.
Irene è femmina di denuncia
sociale, capace di imbastire la tela di un racconto partendo da un
attento sguardo sulla sofferenza del mondo. Attenta ai dettagli, alle
fessure tra le cose, agli spazi apparentemente vuoti e dimenticati.
Lei sa che
esiste una bellezza particolare nella polvere che il tempo disperde.
Perché il tempo può anche sfuggire ma il segno del tempo rimane.
Sempre.
La sua
ricerca è rivolta principalmente al tema dell’identità e i suoi
progetti seguono spesso lunghi processi d’indagine anche attraverso
progetti comunitari sul territorio (Sri Lanka, Senegal e Bosnia tra
le altri).
Nicoletta, l’artista
anagraficamente più matura, è pura potenza espressiva. Passione che
scalpita. A tratti metafisica, essenziale asciutta. A tratti sontuosa
e quasi barocca. Racconta all’interno di questo progetto un momento
particolare della propria vita e testimonia col proprio lavoro che
spesso è proprio dalle crepe dell’esistenza che riesce a filtrare
una nuova luce che tutto illumina. Brandendo nell’aria il dito
indice sembra volerci ammonire: Mettetevelo
bene in testa, un nuovo inizio, una nuova consapevolezza sono sempre
possibili.
Birgit, è femmina di rottura.
Divisa tra fotografia e pittura, si presenta onirica e gotica
insieme. Sfugge alle catalogazioni. Apparentemente schiva, anche
negli scatti si lascia avvicinare con riserva. Scrive con le immagini
la propria autobiografia, affrontando temi considerati cari al genere
femminile. Ma lo fa in maniera mai banale, sposando un punto di vista
insolito e inconsueto ma sempre coraggioso e coerente con le premesse
da cui muove.
E poi c’è Francesca che ama
la fotografia in modo alternativo: ovvero la taglia, la spezzetta, la
assembla fino a crearne collage. Lei presenta un progetto dedicato al
mondo dei Giovani Adulti (The Young Adult). Un progetto molto intimo
e femminile, che narra la rappresentazione di sogni e l’appartenenza
a mondi, scambi, volti. Al
centro della sua narrazione: la memoria. Attraverso il recupero di
vecchie fotografie di quando aveva vent’anni (e voleva fare la
fotografa), l’artista ci introduce nell’affascinante mondo dei
Giovani/che stanno per diventare/Adulti illustrandoci la complessità
e la bellezza di quell’età di cambiamento e confine.
Otto donne e otto mondi
quindi. Otto percezioni. Otto sentimenti. Otto storie da ascoltare e
fare proprie.
Ringraziare le artiste per il
lavoro e il tempo dedicato al progetto è un atto dovuto. Ma anche
fortemente VOLUTO.
Sono state capaci di dare vita
ad un progetto sincero, schietto, intellettualmente e artisticamente
onesto. Un progetto forse non sempre rassicurante, è vero, ma un
progetto che è andato al di là di ogni possibile previsione e per
questo si presenta ancora più emozionante e affascinante.
Non
abbiate paura di farvi prendere per mano e perdervi, dunque.
Non sono
brava a concludere ma visto che sono obbligata a farlo, vi lascio con
un consiglio che ha la forma e le sembianze di un augurio: Siate
capaci di abbandonarVi alla vita, alla scoperta, al gioco. Sempre.
Nella peggiore delle ipotesi conserverete in Voi il ricordo di un
bellissimo viaggio contromano.
Ad
maiora.
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