lunedì 20 marzo 2017

Collettiva fotografica a Camo


SIG.RA KRUNZ LA SMETTA 

DI GIOCARE CON QUEI FIORI

Collettiva fotografica


a cura di Claudio Lorenzoni  
testo: Francesca Marica 


25 marzo - 25 aprile 2017
Inaugurazione 25 marzo 2017 h. 17.30 


Pinacoteca Civica di Camo (Cuneo)




comune.camo@libero.it








[comunicato stampa]



Sono una donna
e celebro ogni piega del mio corpo
ogni piccolo atomo che mi forma
dove navigano i miei dubbi e le mie speranze
Tutte le contraddizioni sono meravigliose
perché mi appartengono
Sono una donna e accolgo con favore ogni arteria
dove imprigiono i segreti della mia stirpe
e tutte le parole degli uomini sono nella mia bocca
e tutta la saggezza delle donne è nella mia saliva.

[Mikeas Sànchez, Uno, da Mojk’jäyä-Mokaya]


Ho intonacato i quattro muri in bianco
attorno ci ho messo uno schianto
di fiori, un sussurro di piante.
All’interno velluti
odore arso di arance.
E, appena finita la casa,
ne sono sgusciata da un fianco.

[Daria Menicanti, Casalinga, Ma, da Poesie per un passante]


Il mio potere di donna consiste nel definire me stessa e non farmi definire dall’esterno – Audre Lorde [così rispondeva ad una giornalista che le chiedeva di definirsi].
[…] Non mostratemi rane e serpenti
Aspettandovi che io urli
Se mi spavento
Lo faccio solo nei miei sogni
Ho un incantesimo
Nascosto nella manica,
Posso camminare sul fondo del mare
Senza bisogno di respirare
La vita non mi spaventa per niente
Per niente. Per niente
La vita non mi spaventa per niente

[Maya Angelou, da La vita non mi spaventa per niente]



Una premessa poetica per introdurre questa collettiva tutta al femminile. I versi delle quattro poetesse scelte si legano in qualche modo alla sensibilità delle artiste esposte. Alla poesia l’arduo compito di introdurre dunque il progetto, raccontando sì, ma, senza svelare troppo. Perché la poesia è sempre una buona bussola per orientarsi nel mondo. E dentro le mura di questo progetto fotografico la poesia respira profondamente e prende dimora in ogni singolo scatto.


Comincio col dire che è un progetto fotografico a cui non si può rimanere indifferenti questo. È un progetto che smuove, che si infiltra, che si appropria di ogni anelito. È un progetto che parla.


Non aspettatevi nessun manuale di istruzioni per l’uso, però. Non sarei in grado di elaborarne uno credibile e valido. Non credo di essere la persona giusta per quel tipo di compito. Non aspettatevi nessun manuale per orientarvi tra gli scatti delle otto artiste selezionate. L’orientamento del resto non è neanche detto che in casi come questo serva. Sono convinta che l’arte non vada spiegata ma respirata, percepita, sedimentata, introitata. E ognuno lo deve fare con i suoi tempi, i suoi modi, la sua sensibilità, la sua consapevolezza. Niente istruzioni quindi ma solo qualche spunto di partenza su cui riflettere insieme.

Come in un allestimento teatrale minimo e essenziale, in questa collettiva, al centro di un ideale palcoscenico, si collocano otto donne che coraggiosamente hanno accettato la sfida di raccontare e raccontarsi, scavandosi dentro, talvolta anche dolorosamente, fino a vomitare fuori la loro essenza più vera. Otto donne, e cioè: Federica, Anna, Trish, Elisabetta, Irene, Nicoletta, Birgit e Francesca.

8 donne diverse per età e ricerca visiva.
8 donne anche geograficamente distanti.
8 donne con un bagaglio di vita non necessariamente simile ma con una stessa attitudine, uno stesso sguardo sul mondo, uno stesso modo di sentire.
volti. metamorfosi. mondi.
sublimazioni.
8 sogni.
8 cuori che hanno usato la fotografia per disegnare la geografia del loro (e del nostro) presente, rivisitando il passato e guardando al futuro.
8 storie fatte di scambi, appartenenze, bivi e incroci.
8 partenze, 8 ritorni e 8 flashback.
8 caratteri (artistici) incondizionati. 8 vite [e ognuna con una precisa cifra dello stare nel mondo].
8 temi e nessun tema.
8 orizzonti designati. 8 temperamenti.
immaginari in prospettiva. 8 mondi in divenire.

Otto donne. Ma farne una questione (solo) di genere sarebbe troppo semplice, troppo riduttivo e anche troppo (e profondamente) ingiusto.

In principio, doveva essere l'importanza delle piccole cose. La collettiva fotografica doveva parlare di quello.
Poi un incontro casuale del curatore con il libro di Leonetta Bentivoglio su Pippo Delbono e i suoi corpi senza menzogna. I/corpi/senza/menzogna: ovvero, un amore e una folgorazione a prima vista. E in un attimo, tutte le carte in tavola sono state scompaginate e il pensiero ha rincorso un’ideale signora Krunz ([…] sig.ra Krunz/ la smetta di giocare/ con quei fiori […]).

Come spesso accade, ciò che doveva essere non è stato ma si è evoluto, trasformato, arricchito. L’importanza delle contaminazioni e delle folgorazioni guidate dal caso – direbbe qualcuno.

Alle otto artiste invitate al progetto fotografico è stato quindi chiesto, non senza una dose di spregiudicata imprudenza, di mettersi a nudo. Di spogliarsi e raccontarsi mettendo al centro del loro monologo, il proprio corpo.
Un corpo il più possibile destrutturato: non sorretto da maschere, non alimentato da pudori, non ingabbiato dentro inutili e anacronistiche ipocrisie. Alle artiste è stato chiesto di essere quanto di più lontano possibile dalla signora Krunz, insomma. Alle artiste è stato chiesto di prestare orecchio per potersi ascoltare meglio. E loro lo hanno fatto. Indubitabilmente.

Il corpo, è l’Io narrante di questa mostra.
Come un moderno Virgilio, il corpo di ciascuna delle otto artiste, ci prende per mano fino a mostrarci dove la carne finisce per incontrare lo spirito. Otto artiste. Otto corpi. Otto storie.

Negli scatti non troverete mai due volte lo stesso corpo. Ci sono corpi che danzano. Corpi che ammutoliscono, e talvolta restano immobili. Corpi che gemono. Corpi feriti, morti ma inaspettatamente resuscitati. Corpi ribelli che scalpitano ma non si piegano. Corpi che pongono domande e spesso non sanno rispondere se non attraverso i perchè. Corpi alienati. Corpi abusati. Corpi rifugio. Corpi che abbracciano. Corpi che accarezzano. Corpi che seducono. Corpi erotici. Corpi delusi. Corpi oltraggiati. Corpi (di)svelati.

Ognuna delle otto artiste ha portato in scena il proprio mondo.

Federica, la più giovane delle artiste selezionate, a dispetto dell’età tradisce una maturità non comune. Le piace Vivian Maier, la bambinaia fotografa a sua insaputa. E come Vivian, lei è accuditiva e pronta a farsi carico del benessere di chi la circonda, proteggendo chi ama. Un rapporto speciale con gli specchi il suo. E un amore incondizionato per la sorella e il nonno, spesso protagonisti delle sue inquadrature.

Anna, è passione e dolore. Puro travaglio interiore. Tutto diventa quasi votivo e sacrificale nei suoi scatti. Spesso si rimane spiazzati davanti alla evidente commistione tra sacro e profano con cui si fa portatrice di una critica aspra e pungente verso una società sorda al dolore dei più indifesi. Lei vuole scuotere, e anche scandalizzare se questo può essere utile per aprire il velo di indifferenza delle nostre addormentate coscienze. Il corpo, il mare, le bambole: la sua narrazione spesso si articola attraverso questi tre elementi solo all’apparenza distanti e disomogenei.

Trish, è femmina che seduce. Ha un viso da bambola, una dolcezza antica nei lineamenti e una luce che arriva da lontano. C’è un dolore in lei. E le persone che portano addosso un dolore vanno avvicinate con prudenza come scriveva l’adorata Emily Dickinson in uno dei suoi più noti sonetti “Ad un cuore spezzato nessun cuore si volga se non quello che ha l'arduo privilegio d'avere altrettanto sofferto”.

Elisabetta ha occhi che sanno scrutare a fondo. Specializzata in ritratti, è nell’incontro con l’altro che riesce a dare il meglio di sé.
Teatrale, scenica. I suoi scatti mi hanno fatto pensare a una frase del grande Jeanloup Sieff, sono fotogeniche le persone abitate, quelle vuote non lo sono (e lei questo segreto del grande Maestro lo deve aver compreso già da molto tempo). Presenta un progetto in cui la natura e l’uomo non hanno un rapporto di potere/dominazione ma interagiscono in armonia con forme e intensità poetiche. I suoi sono scatti analogici senza alcun ritocco digitale, che segnano un ritorno all’essenziale, alla purezza.

Irene è femmina di denuncia sociale, capace di imbastire la tela di un racconto partendo da un attento sguardo sulla sofferenza del mondo. Attenta ai dettagli, alle fessure tra le cose, agli spazi apparentemente vuoti e dimenticati. Lei sa che esiste una bellezza particolare nella polvere che il tempo disperde. Perché il tempo può anche sfuggire ma il segno del tempo rimane. Sempre.
La sua ricerca è rivolta principalmente al tema dell’identità e i suoi progetti seguono spesso lunghi processi d’indagine anche attraverso progetti comunitari sul territorio (Sri Lanka, Senegal e Bosnia tra le altri).

Nicoletta, l’artista anagraficamente più matura, è pura potenza espressiva. Passione che scalpita. A tratti metafisica, essenziale asciutta. A tratti sontuosa e quasi barocca. Racconta all’interno di questo progetto un momento particolare della propria vita e testimonia col proprio lavoro che spesso è proprio dalle crepe dell’esistenza che riesce a filtrare una nuova luce che tutto illumina. Brandendo nell’aria il dito indice sembra volerci ammonire: Mettetevelo bene in testa, un nuovo inizio, una nuova consapevolezza sono sempre possibili.

Birgit, è femmina di rottura. Divisa tra fotografia e pittura, si presenta onirica e gotica insieme. Sfugge alle catalogazioni. Apparentemente schiva, anche negli scatti si lascia avvicinare con riserva. Scrive con le immagini la propria autobiografia, affrontando temi considerati cari al genere femminile. Ma lo fa in maniera mai banale, sposando un punto di vista insolito e inconsueto ma sempre coraggioso e coerente con le premesse da cui muove.

E poi c’è Francesca che ama la fotografia in modo alternativo: ovvero la taglia, la spezzetta, la assembla fino a crearne collage. Lei presenta un progetto dedicato al mondo dei Giovani Adulti (The Young Adult). Un progetto molto intimo e femminile, che narra la rappresentazione di sogni e l’appartenenza a mondi, scambi, volti. Al centro della sua narrazione: la memoria. Attraverso il recupero di vecchie fotografie di quando aveva vent’anni (e voleva fare la fotografa), l’artista ci introduce nell’affascinante mondo dei Giovani/che stanno per diventare/Adulti illustrandoci la complessità e la bellezza di quell’età di cambiamento e confine.

Otto donne e otto mondi quindi. Otto percezioni. Otto sentimenti. Otto storie da ascoltare e fare proprie.

Ringraziare le artiste per il lavoro e il tempo dedicato al progetto è un atto dovuto. Ma anche fortemente VOLUTO.
Sono state capaci di dare vita ad un progetto sincero, schietto, intellettualmente e artisticamente onesto. Un progetto forse non sempre rassicurante, è vero, ma un progetto che è andato al di là di ogni possibile previsione e per questo si presenta ancora più emozionante e affascinante.

Non abbiate paura di farvi prendere per mano e perdervi, dunque.

Non sono brava a concludere ma visto che sono obbligata a farlo, vi lascio con un consiglio che ha la forma e le sembianze di un augurio: Siate capaci di abbandonarVi alla vita, alla scoperta, al gioco. Sempre. Nella peggiore delle ipotesi conserverete in Voi il ricordo di un bellissimo viaggio contromano. Ad maiora.



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